il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2019
Biografia di Marco Di Lauro
La figura di Marco Di Lauro, ultimo rampollo del clan più potente di Scampia e Secondigliano, attraversa gli ultimi 15 anni delle guerre di camorra della periferia Nord di Napoli. E attraversa le pagine di Gomorra di Roberto Saviano, e le immagini e i personaggi della serie omonima tratta dal romanzo (le prime due stagioni, soprattutto). La perdita della “corona” con la prima faida di Scampia, gli scontri della seconda, il ritorno con la terza. Sullo sfondo, la definitiva trasformazione del mercato della droga in industria.
Prima fu il padre. E l’idea che la droga potesse dar da mangiare a tanti, bastava accontentarsi. Paolo Di Lauro – la figura che ha ispirato il personaggio di Don Pietro Savastano – ideò un sistema che prevedeva l’assegnazione delle piazze di spaccio a vari capizona alle sue dipendenze. Andò avanti così per diversi anni, anche durante la latitanza di quel boss detto Ciruzzo ‘o milionario, per le banconote che perdeva dalle tasche. La continuità della gestione criminale venne assicurata da Vincenzo Di Lauro, primogenito, ma pure lui fu arrestato nel 2014. I figli più giovani di Ciruzzo, tra cui Cosimo, Ciro e Marco, allora 24enne, si fidavano però più dei 20-30enni, che dei fedelissimi del padre. È a Cosimo – il boss che si vestiva sempre di nero e con una pettinatura a Il Corvo Brandon Lee, e che a tratti sembra ricordare la figura di Genny Savastano – che si deve il progetto di ringiovimento del clan. Raccontò il collaboratore di giutizia Pietro Esposito: “Sui Di Lauro si dice che gli esponenti devono avere massimo 30 anni. A seguito di questa decisione, molti affiliati sono stati messi da parte, e per questo motivo sono passati con gli scissionisti”. Scoppiò la guerra. Il delitto, tra tanti, della giovane Gelsomina Verde. Solo nel 2004, 134 omicidi di camorra. Col Wahshington Post che scriveva: “Negli ultimi mesi una serie di omicidi efferati ha dato nuovo significato al famoso adagio: ‘Vedi Napoli e poi muori’. Se sei un gangster in questi giorni nemmeno tua mamma è al sicuro”. Poi, da latitante, è il turno di Marco. F4 “governa” la tregua alla prima faida. Mette un punto. Ristruttura il clan. Riorganizza le piazze di spaccio. La polizia trovò un libro mastro dei guadagni dei Di Lauro che registrava il periodo 2008-2010: 172 bloc-notes con cifre da capogiro, incassate con lo spaccio negli androni dei palazzi e nelle strade isolate. Per il solo maggio 2010, l’incasso totale era di 2.685.465 euro. Tolte le spese per gli stipendi agli affiliati e ai parenti dei detenuti (in tutto, 1.814.680), rimaneva un guadagno netto di 870.785: una somma limitata alla vendita di droga solo nell’area del cosiddetto “Terzo Mondo”, il feudo dei Di Lauro concentrato tra via Miracolo a Milano, dove si vendeva cocaina e crack, e via Praga magica, per marijuana e hashish.
Cominciarono poi a emergere adolescenti e ventenni, in cerca di spazio. E Marco, ultimo latitante della famiglia, capisce i nuovi mutevoli rapporti di forza: le precedenti organizzazioni dello spaccio saltavano rapidamente, per l’incalzare di agguati e morti. Raggruppa i pusher in paranze (almeno dieci persone con un capo). E diventa, negli anni, il riferimento non solo del suo clan, inizialmente confinato nel “Terzo Mondo” dopo la prima faida di Scampia, ma anche un elemento di primo piano per il gruppo della Vanella Grassi, i cosiddetti “Girati” perché avevano tradito i loro capi, quelli che si erano opposti ai Di Lauro nella prima ribellione generazionale. Marco Di Lauro diventa così figura di primo piano nella scena del narcotraffico a livello mondiale. Fino a ieri.