Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 03 Domenica calendario

Un dizionario su Bibbia & letteratura

«Matteo, Luca, Marco e Giovanni sono una banda di buontemponi che si riuniscono da qualche parte e decidono di fare una gara, inventano un personaggio, stabiliscono pochi fatti essenziali e poi via, per il resto ciascuno è libero e poi si vede chi ha fatto meglio». Con questo poderoso colpo di maglio, ecco volatilizzati in polvere Gesù e i quattro Vangeli. A sferrarlo è Umberto Eco nel suo Pendolo di Foucault. E allora come mai tutto il libro è scandito sulla Torah biblica e sulla dottrina cabbalistica? Altro colpo tremendo di mazza ferrata sulla Bibbia intera: «Devi credere che la Bibbia è ispirata da Dio, ma chi ha detto che la Bibbia è ispirata da Dio? La Bibbia. Capito la magagna?». Così nella Misteriosa fiamma della regina Loana.
Ma allora come si spiega che Il nome della rosa sia tutto strutturato sulle sette trombe dell’Apocalisse e rechi sul suo ideale portale d’ingresso il giovanneo «In principio era il Verbo»? Anzi, che le sue pagine siano filigranate di temi, simboli, immagini, figure, narrazioni, vocaboli di matrice biblica? E, se è permessa un’attestazione personale, data una certa mia frequentazione amicale con lo scrittore durante il periodo della mia direzione della Biblioteca Ambrosiana di Milano (nota era la sua «libridine» soprattutto bibliofila), come si giustificano i suoi lunghi dialoghi con me su questioni esegetiche tutt’altro che banali?
La risposta è forse in quella rilevazione che il famoso autore del Grande Codice (appena riproposto da Vita e Pensiero, come abbiamo qui segnalato) Northrop Frye annotava nell’altro suo saggio più noto, l’Anatomia della critica: la Bibbia è la «struttura archetipica completa, oltre che un compendio di tutti i modi, i simboli, i miti della letteratura mondiale». E questo, sia pure in contrappunto, era ribadito da Italo Calvino che concepiva la Bibbia (in greco un plurale, bíblia) come una biblioteca di 73 libri attorno ai quali «si ordinano tutti gli altri libri possibili» (così nella Letteratura come proiezione del desiderio).
Ebbene, Eco e Calvino s’affacciano entrambi nell’imponente sfilata delle 270 voci di un originale (e molto atteso) Dizionario biblico della letteratura italiana, allestito da quasi 150 studiosi, guidati in modo esemplare da tre importanti storici della letteratura, i professori Frare, Frasso e Langella, col coordinamento generale dell’attuale direttore della Biblioteca Ambrosiana, Marco Ballarini. E tanto per stare alla coppia Eco-Calvino, si scopre, ad esempio, che il secondo ha avuto spesso come rimando capitale la Genesi, mentre il primo ne demoliva l’impianto fondativo quando nell’Isola del giorno prima metteva in bocca a un personaggio questa asserzione dialetticamente perentoria: «Se il mondo è infinito, lo sarà tanto nello spazio quanto nel tempo, e dunque sarà eterno, che non bisogna di creazione, allora sarà inutile concepire l’idea di Dio».
L’orizzonte che questo Dizionario spalanca è da vertigine perché abbraccia gli esordi stessi della nostra letteratura, non teme di recensire l’intera Bibbia sfogliata da Dante che la intarsiava poi nelle sue pagine in un dettato che Contini aveva definito una imitatio Bibliae; convoca tutti i grandi da Boccaccio ad Ariosto, da un Tasso così irradiato dagli scritti biblici da meritare 21 colonne di analisi, a un sorprendente Foscolo il cui Ortis è immerso nel fiume delle S. Scritture, da un necessario Manzoni a un sorprendente Goldoni e a un suggestivo Leopardi. Ma in questa galleria di ritratti storici, che precede la stanza dedicata alla contemporaneità, si presenta una vera folla di scrittori minori di rilievo, come un inatteso Luigi Pulci che, pur parodisticamente, intinge spesso la sua penna nell’inchiostro sacro. Ma appaiono anche alcune figure scovate in angoli più riposti come – per stare al cognome comune con l’autore del Morgante – Antonio Pulci e Bernardo Pulci, fino a un remoto genovese, che confesso mi ha fatto esclamare manzonianamente: «Cebà Ansaldo, chi era costui?».
Ma ecco, come si diceva, la straordinaria sequenza del Novecento letterario che è quasi integralmente convocato. Se volessimo adottare la topografia simbolica dantesca, potremmo raggruppare gli autori in varie aree. C’è, ad esempio, il cielo stellato paradisiaco ove risuonano le voci consonanti di Turoldo, di Luzi, di Rebora, della Bono, di Pomilio, di Betocchi e così via. C’è un cielo del sole ove si radunano alcuni autori più complessi nella loro adesione alla parola divina come lo sono i teologi: penso, ad esempio, a Ungaretti, a Papini, a Testori, a Bacchelli, alla Merini, alla Guidacci, a Silone, a Crovi, a De Luca e altri ancora. Poi, però, ci sono le «cornici» o balze purgatoriali ove il confronto con la Bibbia è più dialettico e qui i volti possono stupire non pochi lettori: sono figure come Berto, Caproni, Loi, Erba, Svevo e persino Vittorini e Pirandello (che intitola un dramma Lazzaro e che rivela frequenti trasparenze evangeliche nelle sue pagine).
Ovviamente senza giudizi morali, ma solo per delineare una mappa simbolica libera, ci sono anche i «gironi» di un nadir più remoto ove, però, lo sguardo degli autori qui relegati è proteso lassù, verso le teofanie bibliche. L’elenco eterogeneo di costoro si allarga a ventaglio, e affiorano voci critiche o smarrite, inquiete o incerte e fin negative, come quelle di Gadda, Fenoglio, Montale e Pasolini, della Morante e di Moravia, di Fo e Fortini, giù giù fino ai contemporanei Magrelli e Baricco. Naturalmente non sono solo questi i personaggi che popolano un’opera così corale, impressionante nei suoi percorsi ramificati e nell’acutezza delle analisi. Ma il Dizionario non si esaurisce nella sequenza delle voci alfabetiche che procedono da un Abba o Achillini fino al palinsesto scritturistico sotteso ai versi di Zanzotto. Un elenco dal quale non sono escluse voci molto suggestive riservate, ad esempio, a Palazzeschi, Parise, Penna, Piovene, Pontiggia, Quasimodo, Raboni, Giudici, Saba, Sereni, Soldati, Sciascia, Antonia Pozzi e Patrizia Valduga.
C’è, infatti, qualcosa di più: innovativo e creativo è l’emergere di almeno una ventina di lemmi globali, ove si concertano autori legati a diversi generi comuni (ad esempio, il romanzo storico o industriale, i libretti d’opera, la memorialistica, la patriottica, la poesia dialettale comica o orfica), oppure appartenenti alle aree geografiche (la poesia toscana o siculo-toscana o la letteratura siciliana del Novecento, ove si potrà incontrare anche Andrea Camilleri col suo Campo del vasaio). O ancora è possibile scoprire alcune aggregazioni come il Dolce Stil Novo, i Crepuscolari, la Neoavanguardia, il «ritorno al privato» con la Ginzburg, Bassani, Cassola, Banti e Lalla Romano e persino i «Tristaniani» e i «Cannibali» (il Brizzi di Jack Frusciante, Nove e Scarpa). Originale è, poi, l’idea di aver raccolti in un unico florilegio i molteplici «Vangeli apocrifi moderni» che hanno una sorta di vessillo nel Quinto evangelio di Pomilio.
Questa lunga e arida carrellata ambirebbe solo far sospettare la ricchezza, il fascino ma anche la necessità di dotarsi di un simile strumento policromo e polimorfo, destinato non solo alle biblioteche pubbliche – che dovrebbero acquisirlo come antidoto alla smemoratezza e alla superficialità in cui si è ora immersi – ma anche a tutti coloro che amano la letteratura in tutte le sue iridescenze, e persino ai teologi così refrattari ad allegare la comprensione estetica delle verità di fede. Alla base, infatti, del rimando alle Scritture non c’è solo una questione culturale ma anche esistenziale e spirituale, formulata ad esempio da un autore ottocentesco minore, Alfredo Oriani, che non ho trovato nel Dizionario (a meno che non si nasconda in qualche piega delle voci comuni). Le sue parole cristologiche, al riguardo, sono incisive: «Creduli o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa».