Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2019
Nasce dallo Spazio il corso di cucina olistica
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Risotto al pesto, lasagne alla bolognese, una bella caponata e per finire un tiramisù fatto ad arte. Non è il menù di un pranzo sostanzioso, ma quel che poteva mangiare Luca Parmitano, l’astronauta italiano, durante il soggiorno nella Iss, la Stazione spaziale internazionale, che da buon siciliano richiedeva anche un piatto caratteristico della sua regione. Paolo Nespoli invece, dopo il risotto, gradiva manzo brasato e per finire Samantha Cristoforetti, aveva una predilezione per l’insalata di quinoa con pollo al curry. Ce lo dice Stefano Polato, noto come il cuoco degli astronauti, che li ha seguiti nelle ultime missioni, convincendo tutti gli abitanti della Iss della bontà della cucina italiana, anche se adattata alle stringenti condizioni ambientali dello spazio.
Un bel successo per il made in Italy, forte nel settore alimentazione, però attenzione a considerare il tutto semplicemente come la fornitura di un cibo un minimo più appetitoso a uomini e donne che stanno in assenza di gravità per mesi e mesi. C’è molto di più, un approccio olistico, come dice Polato, che pone le basi per una vita migliore e più consapevole, riducendo in primis, tramite la corretta alimentazione, il processo di invecchiamento, che per la permanenza nello spazio ha ritmi incalzanti: si parla di possibili effetti pari a 10 anni sulla Terra in soli sei mesi. Ma l’alimentazione sana, a partire dalla scelta degli ingredienti operata in associazione con Slow Food, è solo uno dei tre pilastri che si cerca di costruire per raggiungere l’obiettivo, assieme all’attività fisica, al benessere e alla tranquillità spirituale. Un approccio nuovo che richiede “clienti” nuovi, più consapevoli e partecipi, una vera e propria ricerca continua, svolta da Polato anche come responsabile della Space Food Lab di Argotec che deve ovviamente tenere conto delle condizioni dell’ambiente spaziale. L’orientamento è fornire un piatto unico, secondo i principi di nutrigenomica sposati anche da Harvard, in cui il 50% sia composto da fibra, quindi verdura e frutta, e 50% da proteine e carboidrati che si compensano. Niente vino in orbita, per scelta operativa ma anche etica. Grande attenzione poi con le temperature: la vitamina C se ne va oltre i 40 gradi e l’eccessiva cottura delle proteine le rende indigeste, si sfiora quindi più il laboratorio di chimica fisica che una cucina. Tutto passa poi in autoclave e si mette sottovuoto, perché si mantenga fino a 24 mesi, così come richiesto dalle specifiche della Iss, anche se è stato verificato, dopo 18 mesi, decadimento di gusto e di sapore, particolarmente importante in orbita perché in assenza di gravità i vapori che vengono dal cibo riscaldato non arrivano al naso, perché non salgono verso l’alto come sulla Terra.
Partito da Monselice, storico paese del padovano, Polato è passato attraverso una laurea in Beni culturali, ma è stato poi folgorato dalla sua visione di benessere complessivo, partita dal cibo che ha servito per qualche anno nel suo ristorante. Dopo aver mandato nello spazio cibi e pietanze è ritornato, da gennaio, nel suo paese con Avamposto 43, nome di origine spaziale dato che il 42 era l’etichetta del team Cristoforetti. “Voglio cominciare nella mia Academy, assieme a medici, nutrizionisti e altri, a creare i nuovi clienti del futuro con corsi ad hoc ed eventi”. Non di solo cibo vive l’uomo di domani.