La Stampa, 3 marzo 2019
Intervista a Caterina Valente, proprietaria dell’Hotel Locarno
Caterina Valente è la proprietaria e l’anima dell’Hotel Locarno, un albergo 5 stelle nel centro storico di Roma: molto legato al mondo dell’arte e della cultura, ha ospitato negli anni artisti, registi, scrittori, musicisti e viaggiatori.
Perché si chiama Hotel Locarno?
«Perché fu fondato nel 1925 da svizzeri di Locarno».
E che cosa è oggi il suo albergo?
«E’ la creazione di mia madre Maria Teresa Celli, che l’ha acquistato negli Anni Sessanta. Era una decoratrice di interni, ristrutturava appartamenti in rovina nel centro di Roma e li rivendeva a francesi e inglesi. All’epoca abitare in centro era inusuale, ma lei era una persona straordinaria e molto moderna. Un agente immobiliare le dette appuntamento per vedere un appartamento di fronte, ma era in ritardo e così lei entrò all’Hotel Locarno e chiese al portiere se c’era qualcosa in vendita. Le rispose che la famiglia proprietaria stava vendendo metà del secondo piano».
E cosa accadde?
«La comprò. Mia nonna diceva che era pazza a comprare un pezzo di un edificio così grande avendo due figli piccoli. Poi mia madre acquistò la seconda metà del piano e proseguì pezzo per pezzo, fino a diventare proprietaria dell’intero stabile. Prese l’albergo nel 1969 e, essendo una decoratrice di gusti sofisticati, lo riportò allo splendore degli Anni Venti. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’hotel era diventato una sede dei nazisti e tutti quelli che abitavano vicino dovettero scappare perché era un bersaglio dei bombardamenti degli Alleati. Dopo la guerra fu preso dagli americani e finì completamente in rovina».
Era già un ritrovo leggendario di artisti?
«Sì, fin dagli Anni Cinquanta. Siamo vicini a via Margutta, e Federico Fellini e la sua cerchia abitavano e lavoravano qui. Molti artisti e pittori venivano a lavorare alla vicina litografia Bulla, lo studio litografico più antico del mondo. Qui si sono fermati Michelangelo Pistoletto, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Enzo Cucchi, Jannis Kounellis».
Anche gente del cinema?
«Proprio questo mese qui è stato girato un documentario su Marlene Dietrich. Charlie Chaplin è stato ospite qui e Anselmo Ballester, importantissimo illustratore del cinema muto, fece la locandina dell’Hotel Locarno nel 1925. Da allora tra i nostri ospiti ci sono stati registi, sceneggiatori e star del cinema. Un famoso regista è venuto qui da Los Angeles a scrivere il suo film, chiudendosi nella sua stanza. Abbiamo conosciuto il poeta Iosif Brodsky, altri Nobel, Jack Kerouac. Il documentario su Federico Fellini del suo assistente Gérald Morin è stato girato qui. Umberto Eco, Ottiero Ottieri, Jorge Luis Borges... non esistono scrittori che siano venuti a Roma senza essersi fermati da noi».
A sua madre piaceva questo aspetto bohemienne dell’albergo?
«Non era di facile gestione economica, ma amava la clientela artistica. Era un mito: amava i suoi ospiti anche quando esageravano e cercava di calmarli, anche se a volte era costretti a mandarli via. Una volta dovette abbattere la porta perché un artista non voleva uscire dalla sua stanza».
Lei è cresciuta qui dentro?
«Sì, da ragazzina preparavo il cappuccino al bar e facevo altre piccole mansioni».
Quanto è cambiato l’albergo?
«Di aspetto non è cambiato, ma abbiamo sostituito tutto quello che c’è nei muri, le tubature, l’aria condizionata, il wi-fi. La nostra regola è quella del Gattopardo: “Cambiare tutto senza cambiare niente”. Quando ristrutturiamo, il nostro obiettivo è che l’ospite entrando non noti il risultato».
E gli ospiti?
«Li adoro. Posso ascoltarli per ore. Sono le persone più interessanti al mondo e mi piace anche farli conoscere. Sono molto curiosa, amo farmi raccontare cosa stanno scrivendo o girando».
Si fermano a lungo?
«Una sceneggiatrice russa si è fermata per un mese e mezzo e torna ogni pomeriggio a terminare il suo lavoro, come fa anche uno scrittore romano. E’ un albergo per scrittori. Abbiamo tutti i libri che hanno scritto qui, e ci sono anche tre libri e un film dedicati a noi, e uno spettacolo teatrale che si chiama Hotel Locarno».
Per lei è un business?
«E’ una passione. Non penso ai numeri, mi piace conservare l’atmosfera che si percepisce entrando al Locarno. Le pareti stesse trasudano ispirazione».
Qual è la specialità?
«Il nostro bar è famoso sia a Roma che all’estero, il Martini è favoloso e abbiamo inventato un famoso cocktail, una rivisitazione del Milano-Torino inventato sul treno negli Anni Venti da un barman che faceva il pendolare. Il nostro barista abita a Bracciano e quindi l’ha chiamato Roma -Bracciano: vermouth rosso, rabarbaro e bitter, shakerato con aggiunta di arancia. La nostra cucina è un autentico viaggio culinario, una sintesi vincente tra storia e innovazione. In un ambiente degno di un caffè letterario viennese degli Anni Venti lo chef Domenico Smargiassi propone un menu dalla forte personalità nel rispetto della tradizione e con ingredienti di qualità».
L’Hotel Locarno si potrebbe definire un albergo-boutique?
«Lo eravamo negli Anni Sessanta, oggi è un termine troppo usurato. Noi siamo qualcosa di straordinario, un albergo di artisti, ma anche molti imprenditori, politici e giornalisti vengono a cercare ispirazione qui».