La Stampa, 3 marzo 2019
Jihadisti in fuga carichi di soldi
Combattenti in fuga con le famiglie al seguito, in abiti civili e con sacche piene di dollari in contanti. Gli ultimi giorni del califfato più che al Crepuscolo degli dei assomigliano a una rapina finita male. Ieri i curdi delle Forze democratiche siriane hanno lanciato l’assalto finale all’ultimo villaggio, Baghouz, dove si pensa ci siano asserragliati ancora trecento jihadisti irriducibili e dove era rimasto ferito il fotografo italiano Gabriele Micalizzi.
L’assalto è stato rinviato per due settimane, dopo che si era capito che in quel mezzo chilometro quadrato erano ammassate migliaia di donne e bambini.
Seimila persone sono uscite in pochi giorni e ormai i seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi non hanno più scudi umani. I curdi, appoggiati anche da unità arabe e di cristiani siriaci, hanno occupato la terra di nessuno fra le loro linee e il bordo dell’abitato. Poi hanno cominciato l’attacco casa per casa, tunnel per tunnel. «Sono asserragliati tra le macerie e carcasse di auto, hanno seminato mine e ordigni esplosivi», ha spiegato un portavoce delle Sdf. Una decina di combattenti sono stati uccisi, ma il grosso ancora resiste.
A partire da dicembre, quando è cominciata l’offensiva finale nell’enclave dell’Isis lungo l’Eufrate, al confine fra Siria e Iraq, oltre 40 mila persone sono fuggite verso i campi gestiti dai curdi. Fra loro sono stati identificati centinaia di jihadisti, in gran parte stranieri. Gli iracheni sono stati consegnati alle autorità di Baghdad, gli altri sono in custodia. Ma altre centinaia, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sono riusciti a evadere i controlli e a lasciare i campi. Il punto debole era il passaggio dal campo prossimo al fronte, vicino al giacimento petrolifero di Al-Omar, a quelli più a Nord. Terroristi con a disposizione molti soldi hanno corrotto guardie e autisti per farsi portare a Ovest dell’Eufrate, nella zona controllata da militari turchi e loro alleati. Di lì molti hanno raggiunto la Turchia attraverso il valico di Jarabulus.
L’Osservatorio ha censito «85 famiglie» passate in territorio turco fra dicembre e la fine di febbraio. I testimoni siriani raccontato di «enormi somme di denaro» in loro possesso. La «tariffa» dei passeur è di «diecimila dollari a persona». Un ex combattente uzbeko ha pagato «60 mila dollari per uscire assieme alla moglie e a quattro figli». In totale sarebbe 300 fra jihadisti e famigliari ad aver attraversato il confine in questo periodo. Altre fonti parlano di persone in fuga con «100, 300 fino a 500 mila dollari», tutti in contanti.
È un aspetto che preoccupa anche i servizi occidentali. In cinque anni, dall’inizio del 2014 a oggi, lo Stato islamico ha incassato centinaia di milioni di dollari fra tasse imposte alla popolazione, vendita di petrolio, traffici di oggetti archeologici, beni sequestrati alle decine di migliaia di vittime. Un tesoro stimato fino a 300 milioni in totale. Molti di questi soldi sono stati portati con loro dai jihadisti in ritirata da Mosul e da Raqqa. Sono quasi tutti dollari, e i dirigenti dell’Isis sperano di poterli usare su altri fronti, dal Sinai all’Afghanistan. Oltre a rappresentare un’assicurazione sulla vita per i combattenti in fuga che invece del martirio cercano una seconda chance in Turchia e di lì chi sa dove.