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Nato a Vannes, in Bretagna, settantanove anni fa, Serge Latouche ha avuto almeno due vite. La prima, come professore di economia a Lille, si è interrotta quando ha cominciato a viaggiare nei paesi del Sud del mondo, entrando nella corrente di pensiero degli economisti dissidenti. Nella seconda vita è diventato il padrino della “decrescita felice”, autore di innumerevoli saggi (solo quest’anno ne pubblica ben tre) e ispiratore di tanti movimenti alternativi. Latouche, coppola e bastone, aria sorridente, senza cellulare come sempre, ci aspetta in un piccolo bar che fa un mediocre caffè ma ottime tajine di pollo all’angolo di place Maubert a Parigi.
Il suo nuovo libro s’intitola “I nostri figli ci accuseranno?”. È sicuro che accadrà?
«Il testo riprende una serie di conferenze che ho fatto nel 2013. La cosa fantastica è che sta finalmente succedendo. Il movimento di ragazzi che chiede azioni per lottare contro il saccheggio del pianeta, guidato dalla svedese Greta Thunberg, dimostra che le nuove generazioni diventano consapevoli. È arrivato il momento in cui i nostri figli ci chiedono conto di tutto quello che abbiamo fatto, e spesso non fatto. Sapevo che sarebbe accaduto. Può sembrare paradossale perché questi giovani sono stati cullati dalla società del consumo».
Il movimento giovanile però sembra concentrato sulla lotta al riscaldamento climatico e non sulla decrescita.
«Da quello che vedo mi sembra invece che abbiano capito che lo sviluppo economico è direttamente collegato alla minaccia per il pianeta. È bello notare che è un movimento fatto soprattutto di ragazze: sono ancor più sensibili agli argomenti ecologici rispetto ai loro genitori che scendono in strada con un giubbotto giallo perché c’è una tassa sulla benzina».
Lei non è d’accordo con le rivendicazioni dei gilet gialli?
«La scintilla che ha fatto scoppiare la protesta mi ha lasciato perplesso. Nel tempo però il movimento è cambiato. Considero sia una rivolta sociale legittima rispetto a un potere arrogante, a un sistema di ingiustizia fiscale e sociale insopportabile. Resta il problema: le persone si ribellano ma non hanno una teoria. Ci sono alcune proposte interessanti come promuovere i referendum. Da voi sono serviti a evitare il nucleare e la privatizzazione dell’acqua, anche se con un successo limitato».
I Cinquestelle hanno predicato la decrescita, ma al governo se ne sono dimenticati?
«Non mi ero fatto troppe illusioni. Il potere corrompe chi ce l’ha. Non sono i primi a farsi eleggere per tradire i cittadini che li hanno votati. L’esperienza al governo dei Cinquestelle conferma innumerevoli precedenti del passato».
Ha avuto contatti con Beppe Grillo?
«Ho incontrato Grillo diverse volte, mi aveva chiesto di aderire al movimento. Ho sempre rifiutato. Non mi sembrava giusto per altri militanti della decrescita che non appartengono ai Cinquestelle. In generale sono contrario ai partiti. Non chiedo ai Verdi di candidarsi alle elezioni ma di far capire che l’ecologia è una rivoluzione sociale e culturale. È inutile fare un partito che nel migliore dei casi può ottenere il 6 o il 7 per cento dei voti, mentre le nostre idee riguardano tutta la popolazione».
Rifiuta l’impegno politico?
«Avanziamo imponendo le nostre battaglie e bloccando opere inutili come l’aeroporto di Notre- Dame- des- Landes e spero anche la Tav. Ho manifestato diverse volte in Val di Susa e mi auguro che l’attuale governo italiano confermi la rinuncia a questo cantiere. Il nostro impegno concreto non è fare partiti ma sostenere un certo numero di lotte, soprattutto a livello locale».
Come mai i suoi libri hanno così successo in Italia?
«Penso derivi dal fatto che ho un tipico pensiero francese, di tradizione rivoluzionaria, molto diverso dalla cultura del compromesso che avete in Italia. Mi succede spesso di essere descritto come un fondamentalista della decrescita felice, anche se non ho mai usato quest’espressione».
Perché non l’ha usata?
«Appartiene a Maurizio Pallante e per lui la decrescita consiste nel calo del prodotto interno lordo. Io sostengo invece che bisogna uscire da una società fagocitata da un’economia in crescita, ma ciò non significa che alcune cose non debbano essere sviluppate. E poi confesso di avere un problema con il termine felicità, è un concetto borghese e individualista che si collega al consumo. Quindi lascio la felicità e preferisco parlare di declino sereno o abbondanza frugale».