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 2019  marzo 03 Domenica calendario

Dialogo tra Francesco Guccini e Fabrizio Silei

La civiltà contadina è morta e con lei se ne è andato un mondo. Siamo orfani dei nostri dialetti, di una cultura che nasceva dalla terra e dall’esperienza, di gente semplice che aveva la terza elementare ma possedeva la conoscenza». Francesco Guccini, 79 anni, è seduto al tavolo della sua cucina, a Pàvana, il borgo sull’Appennino tosco- emiliano dove si rifugiò con la madre durante la seconda guerra mondiale e dove 19 anni fa ha deciso di tornare. Nella casa sul confine dei ricordi, come ha cantato in Radici, il disco del 1972 con in copertina la foto di nonni e prozii. Con lui Fabrizio Silei, autore di libri per ragazzi tradotti in 18 Paesi, che ha scelto un giallo storico ambientato nel 1936, Trappola per volpi,

per fare i conti con la storia della sua famiglia contadina, socialista e antifascista. Siedono uno accanto all’altro, discutono di letteratura citando Borges e Calvino, ma ben presto quella che doveva essere una conversazione sul giallo sconfina in altri territori, "i riti antichi e i miti del passato". Guccini disegna un semicerchio con le mani: abbraccia il mondo a cui appartiene, il mulino dove ha passato i primi cinque anni di vita senza acqua corrente, il fiume che scorre attorno, i boschi di castagno, la Porrettana oggi interrotta da una frana, la fila di case vuote… «In un censimento del 1911 nel comune di Sanbuca Pistoiese, di cui Pàvana è una frazione, c’erano più di 7mila abitanti, adesso siamo mille e qualcosa». Sorride, avrà anche abbandonato Bologna, via Paolo Fabbri 43 e le notti all’Osteria delle Dame, ma non è un eremita: nei libri, dalle Cròniche Epafàniche ai gialli con Loriano Macchiavelli, tiene traccia delle cose perdute ma resta comunque dentro il mondo, ne avverte le tensioni e i conflitti.
Perché avete scelto il giallo storico?
FABRIZIO SILEI: «Volevo fare i conti con la storia della mia famiglia e mio nonno, reduce dal primo conflitto mondiale, ma non potevo scrivere Non so che viso avesse perché nel mio caso non lo avrebbe letto nessuno. Il giallo storico è stato il mio modo».
FRANCESCO GUCCINI: «Conoscevo una storia accaduta in paese tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, mai del tutto chiarita: un prete trovato morto nella gola del fiume. La raccontai a Loriano Macchiavelli e Antonio Franchini, editor di Giunti, ci suggerì di scriverla insieme. A proposito, Silei ha la stessa caratteristica del mio socio: ama le pause narrative. Per me invece un giallo deve essere secco, ogni capitolo deve farti venir voglia di leggere il prossimo».
SILEI: «È la tecnica della ciliegina, una tira l’altra. Nella letteratura per ragazzi è irrinunciabile, ma questa volta, avendo a che fare con gli adulti, l’ho violata. Le digressioni sono ciò che accade quando percorri un sentiero e ti fermi per osservare il panorama».
Ci vuole equilibrio.
GUCCINI: «Diceva Borges che un arabo se scrive un racconto arabo non ha bisogno di riempirlo di palme e dromedari. Un occidentale sì. Ma la caratterizzazione può risultare appiccicata».
SILEI: «Le cose troppo leggere rischiano lo stereotipo. Bisogna cercare l’esattezza di cui parla Calvino nelle Lezioni americane e anche con quella andarci piano: se si esagera si rallenta il giallo».
Silei, lei rappresenta il potere fascista con tratti quasi caricaturali.
SILEI: «Perché lo vedo come il potere dell’ignoranza. E poi c’è la sagacia popolare, che ha a che fare con l’impotenza e che nei borghi di Pratolini diventa il tentativo di farcela con la lingua».
Guccini: «Mi è piaciuto molto l’antifascismo smaccatamente popolare che descrivi e la figura del detective contadino, pochi studi, grande sapienza».
Nostalgia della civiltà contadina?
GUCCINI: «Si ha nostalgia per le persone che non ci sono più, per un periodo della vita che è alle nostre spalle, non certo per la povertà».
Silei: «Non è nostalgia, è il rammarico per la scomparsa della civiltà contadina, un tema pasoliniano. La perdita e lo scambio con il consumismo in un mondo dove non c’è più la saggezza di tagliare la legna con la luna calante e neanche il desiderio della cultura».
Perdita che avrà conseguenze.
GUCCINI: «La civiltà contadina era ignorante, ma aveva la prudenza: che non significa stare lontano dai pericoli, ma coltivare il dubbio e rispettare gli altri. Nel mondo di mia nonna sarebbe stato impossibile dire a una cantante di aprire le gambe solo perché non si condividono o comprendono le sue parole».
SILEI: «Oggi si studia, ma c’è l’analfabetismo di ritorno: si legge un articolo di giornale e non si capisce il contenuto».
GUCCINI: «Si vede dalle scelte elettorali. C’è una brutta aria, tant’è che io mi tengo stretto il mio certificato di nascita: ho scoperto che c’è scritto di "razza ariana". Di questi tempi può servire».
SILEI: «Un’altra cosa che si sta perdendo è l’identità famigliare. I ragazzi non fanno più domande sulla famiglia, indossano le stesse Nike e guardano le stesse serie tv dei loro coetanei di New York».
Tra la via Emilia e il West…
GUCCINI: «La mia fascinazione per l’America nasce dalle letture, dai sogni e dalla mia storia, dalle Radici come ho chiamato il quarto Lp, non certo dalla televisione e dalla sua vuota narrazione».
Siete legati alla tradizione orale.
SILEI: «Mia madre raccontava favolacce toscane o storie di guerra. Poi i nonni andavano al mercato e compravano insieme alle lamette anche i fogli volanti».
GUCCINI: «I cantastorie non esistono più e molti neppure li ricordano. Una donna di Pàvana mi recitò La guerra di Berto, 29 strofe di un suo cugino intonate sul modello dell’ottava rima. E poi c’erano le sfide poetiche, i contrasti».
SILEI: «Quando mio figlio mi parla delle battaglie tra rapper io scherzo: guarda che non è nulla di nuovo».
Guccini: «Uno dava l’ottava e l’altro rispondeva. Benigni, che ora è bravissimo, al tempo faticava. Ricordo una serata a Bologna, c’era anche Umberto Eco che francamente non è mai stato un granché a improvvisare».
La perdita della civiltà contadina è la perdita di una cultura?
SILEI: «Il dialetto, la sagacia popolare, la tradizione orale… Un altro mondo».
GUCCINI: «È finito e anche gli Appennini stanno morendo: i rovi si riprendono i sentieri, i paesi si spopolano. Adesso la frana. Quando scendete a valle controllate il traffico: sparito anche quello».