Robinson, 3 marzo 2019
Questo secolo sarà cinese, a tutti i costi
Le previsioni sull’ascesa dell’Asia allo status di superpotenza globale risalgono ad almeno due secoli fa, quando si dice che Napoleone, parlando della Cina, abbia detto: “Lasciatela dormire, perché al suo risveglio il mondo tremerà”. Quasi un secolo fa, nel 1924, il generale tedesco Karl Haushofer predisse una “era del Pacifico” prossima ventura. Ma l’Asia non è rappresentata solo dai paesi del Pacifico. Geograficamente, l’Asia si estende dal Mediterraneo e dal Mar Rosso fino al Pacifico, abbracciando due terzi del continente euroasiatico e comprendendo cinquantatré paesi e quasi cinque miliardi di persone, di cui 1,5 miliardi nella sola Cina. Il secolo asiatico, dunque, avrà inizio quando l’Asia si cristallizzerà in un tutto maggiore della somma delle parti. Questo processo è già iniziato. Quando nel 2100 ripenseremo all’anno in cui è stata posta la pietra angolare di un nuovo ordine mondiale a trazione asiatica, sarà il 2017. Nel maggio di quell’anno, sessantotto paesi che comprendono i due terzi della popolazione e la metà del pil mondiale si sono riuniti a Pechino per il primo vertice della Belt and Road Initiative.
In quell’occasione, leader asiatici, europei e africani hanno simbolicamente inaugurato il lancio del più grande piano coordinato di investimenti infrastrutturali della storia umana. I governi presenti si sono impegnati a spendere collettivamente svariate migliaia di miliardi di dollari nel prossimo decennio per collegare i principali centri abitati del mondo in una costellazione di interscambi commerciali e culturali: una nuova Via della Seta.
La Belt and Road Initiative è il progetto diplomatico più significativo del XXI secolo, l’equivalente di ciò che la creazione delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale e del piano Marshall ha rappresentato per il XX secolo. Con una differenza cruciale: la Belt and Road Initiative è stata concepita e lanciata in Asia e sarà guidata dagli asiatici.
Questa è la storia di un intero lato del pianeta – quello asiatico – e del suo impatto sul mondo nel XXI secolo. Per buona parte della storia documen-tata, l’Asia è stata la regione più importante del globo. Come dimostrò il compianto economista britannico Angus Maddison, negli ultimi duemila anni, fino alla metà del 1800, la Cina, l’India e il Giappone hanno generato collettivamente un prodotto interno lordo (a parità di potere d’acquisto, PPA) superiore a quello degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Francia, della Germania e dell’Italia messi assieme. Con l’avvento della rivoluzione industriale, però, le società occidentali modernizzarono le loro economie, espansero i loro imperi e soggiogarono gran parte dell’Asia. Dopo i due secoli in cui l’Europa ha governato il mondo, gli Stati Uniti sono diventati una potenza globale grazie alla loro vittoria nella guerra ispano-americana (che gli ha dato il controllo di Cuba e delle Filippine) e al loro ruolo decisivo nel porre fine alla Prima guerra mondiale.
Ma solo in seguito alla Seconda guerra mondiale – quando le potenze occidentali hanno smesso di provare a conquistarsi vicendevolmente – è emerso un ordine occidentale stabile. Esso era incarnato dal potere economico e militare degli Stati Uniti, dall’alleanza militare transatlantica della Nato e da istituzioni internazionali come le Nazioni Unite, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Settant’anni fa, in un mondo spaccato in due dalla guerra fredda, nessuno poteva immaginare quanto quegli accordi e quegli organi si sarebbero rivelati duraturi. Solo negli anni Novanta quell’ordine mondiale è divenuto realmente globale, quando numerose ex repubbliche sovietiche hanno aderito all’Unione europea e alla Nato, mentre decine di paesi in via di sviluppo hanno aderito a organismi come l’Organizzazione mondiale del Commercio (Omc) che promuovevano il cosiddetto “Washington Consensus”, basato sul libero scambio e sulla deregulation economica. Erano le leggi, gli interventi militari, il denaro e la cultura occidentali a dettare l’agenda globale. Tuttavia i quasi vent’anni che sono intercorsi tra gli attacchi dell’11 settembre 2001 e l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016, passando per la guerra in Iraq del 2003 e la crisi finanziaria del 2007-2008, saranno ricordati come uno spartiacque rispetto ai precedenti decenni di dominazione occidentale. I fallimenti delle guerre in Afghanistan e in Iraq, lo scollamento tra l’economia finanziaria e quella reale, l’incapacità di integrare la Russia e la Turchia nell’Occidente e il dirottamento della democrazia a opera dei populisti sono tra gli episodi più salienti che hanno portato molte élite occidentali a interrogarsi sul futuro dei loro valori politici, economici e sociali. Oggi le società occidentali sono afflitte da una lunga lista di mali: espansione del debito, crescenti disuguaglianze, polarizzazione politica e guerre culturali. I millennial mericani sono cresciuti all’ombra della guerra al terrorismo, in una situazione di redditi mediani in costante declino, crescente tensione razziale, arbitraria violenza da armi da fuoco e demagogia politica. I giovani europei, dal canto loro, devono fare i conti con l’austerità, l’alta disoccupazione e una classe politica che ha perso il contatto con la realtà (...). Mentre l’Occidente era impegnato a combattere e a vincere la guerra fredda, l’Asia ha iniziato a recuperare terreno. Negli ultimi quarant’anni, anche in virtù dello spostamento della produzione in Asia, la fetta più grande della crescita economica globale è andata agli asiatici; quella più piccola è andata agli occidentali, in particolare ai lavoratori della classe media industriale. Nel corso degli ultimi due decenni, miliardi di giovani asiatici hanno conosciuto stabilità geopolitica, prosperità economica e crescente orgoglio nazionale. Il mondo che conoscono non è quello del dominio occidentale, ma quello dell’ascesa asiatica. Nel 1998 il mio collega singaporiano Kishore Mahbubani pubblicò una raccolta di saggi provocatoriamente intitolata Can asians think? (Gli asiatici sanno pensare?) in cui avvertiva gli occidentali che il vento stava cambiando e che l’Occidente aveva da imparare dall’Asia almeno quanto quest’ultima aveva da imparare dall’Occidente. Adesso che gli asiatici cominciano a elaborare una visione comune, la domanda che dobbiamo porci non è se gli asiatici sappiano pensare, ma cosa pensano. Gli asiatici si sentono nuovamente al centro del mondo e protagonisti del futuro. La zona economica asiatica — che dalla penisola arabica e dalla Turchia arriva fino al Giappone e alla Nuova Zelanda a oriente — rappresenta il 50 per cento del pil globale e due terzi della crescita economica globale. Tra il 2015 e il 2030 si prevede che i consumi della classe media incrementeranno di trentamila miliardi di dollari e si stima che il contributo delle odierne economie occidentali sarà di appena mille miliardi. Il grosso verrà dall’Asia. L’Asia produce ed esporta, oltre a importare e a consumare, più beni di qualsiasi altra regione al mondo, e gli asiatici commerciano e investono più tra di loro che con l’Europa o il Nord America (...). L’Asia rappresenta anche il 60 per cento della popolazione mondiale. Ha dieci volte più abitanti dell’Europa e dodici volte più abitanti del Nord America. In un mondo che presto ospiterà dieci miliardi di persone, l’Asia sarà la patria col maggior numero di persone di tutto il resto del mondo messo assieme. E adesso queste ultime iniziano a parlarsi. Preparatevi a vedere il mondo dal punto di vista asiatico.(Parag Khanna, nato in India nel 1977, è tra gli strateghi geopolitici più influenti del mondo)