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 2019  marzo 02 Sabato calendario

Intervista a Milo Manara

Di Adrian, la serie-evento di Celentano rinviata al prossimo autunno, e delle dichiarazioni polemiche di Claudia Mori, Milo Manara non vuole parlare: «Non voglio aggiungere altro, ho già spiegato la mia posizione e mi dispiace che sia stata fraintesa: la mia firma ad Adrian c’è e rimane; io ho sviluppato gli studi dei personaggi. Non voglio alimentare alcuna polemica, adesso». È appena uscito in libreria il suo ultimo lavoro, Caravaggio – La Grazia, edito da Panini Comics. E al 46° festival francese di Angoulême ha festeggiato i 50 anni di carriera: «I giornali hanno finalmente scoperto che non ho fatto solo disegni erotici. Curioso, visto che esponevo cose edite, ampiamente pubblicate».
Pronto per fare bilanci?
«Dovrebbe essere così, ma in questo momento non ne sento l’urgenza. Questi 50 anni sono passati in un attimo. Mi considero ancora in fase di evoluzione: penso sempre al prossimo lavoro, non mi guardo indietro».
Proviamoci comunque: quando ha deciso di diventare un fumettista?
«Quando ho scoperto Barbarella, ho capito subito che era il lavoro per me. All’epoca tutta l’editoria era a Milano: molti fumetti venivano pubblicati sulla scia di Diabolik; avevano una qualità abbastanza modesta ma davano la possibilità a molti giovani di imparare il mestiere. I primi anni volevo solo divertirmi. Poi ho scoperto fumetti diversi, dal peso culturale maggiore. Sono arrivati i primi lavori come Lo Scimmiotto. Hugo Pratt mi suggerì di scrivere sceneggiature, e a quel punto cambiò tutto. Da professione, il fumetto divenne una confessione».
Come vi siete incontrati lei e Hugo Pratt?
«Non ricordo dove, ma avevo letto che Pratt sarebbe stato a Lucca, per il festival del fumetto. E io mi ci sono fiondato nella speranza di incontrarlo. E visto che non aveva la patente, mi sono subito proposto di accompagnarlo in giro. Siamo rimasti in contatto. Andavamo insieme ai festival in giro per l’Europa, e una volta lo aiutai anche con un trasloco, portando tutti i suoi libri».
Lei ha collaborato anche con Federico Fellini.
«Un incontro fondamentale. Ci siamo conosciuti perché Vincenzo Mollica, per il 65° compleanno di Fellini, aveva chiesto a vari disegnatori di festeggiarlo con un’immagine. Io ero un fanatico di Fellini: avevo deciso di fare una storiella di quattro pagine. Ma non pensavo che l’avrebbe letta. Invece mi invitò sul set di Ginger e Fred, a Cinecittà. Da quel momento, l’ho sempre seguito mentre lavorava».
Avrà conosciuto anche i suoi collaboratori.
«Ho conosciuto Mastroianni e Giulietta Masina, Paolo Villaggio e Roberto Benigni. Mastroianni me lo ricordo molto bene: andai a trovarlo poco prima della morte, a teatro. Lo divertiva molto il fatto di essere diventato un personaggio a fumetti. Era una persona di grande gentilezza e disponibilità».
Quanto sono vicini fumetto e cinema?
«Molto. Il cartone animato è l’anello di congiunzione tra i due modi di raccontare. Funzionano entrambi per immagini e parole; due arti che partono dalla stessa base. Naturalmente il cinema ha tutta una serie di vantaggi, e così il fumetto: che non deve guardare al budget».
Da dove inizia quando deve disegnare un personaggio?
«Dagli occhi. O meglio: dallo sguardo. Anche la seduzione erotica parte da lì. Tutte le donne che ho disegnato hanno questa capacità di comunicare. Se non riesco a disegnare lo sguardo, tutto il resto è sbagliato».
Negli occhi ci si guarda sempre di meno.
«Siamo tutti sperduti e isolati. Non c’è più un obiettivo comune verso cui tendere. Ci si mette insieme solo per protestare. Ma per organizzare il futuro no. Non guardarsi più negli occhi, forse, deriva da questo: da una vergogna collettiva. E la situazione in cui ci troviamo è umiliante per il genere umano».
Che responsabilità hanno l’arte e gli artisti?
«Una responsabilità grandissima. Io la sento. Per questo non faccio bilanci: mi sembra che avremmo ancora tanto da dire, e sforzi importanti da fare a livello culturale».
Fil rouge della sua carriera sono le donne.
«E continueranno ad esserlo. Perché al di là di qualunque pregiudizio e luogo comune la donna rappresenta la bellezza. Non solo fisica. Pensiamo ai canoni degli antichi. La ricchezza femminile è fondamentale per il cambiamento».
Qual è la donna più importante della sua carriera?
«Molly Malone di El Gaucho. Non tanto per la bellezza, quanto per la sua incredibile forza».