La Stampa, 2 marzo 2019
Fraintendere San Francesco
L’altro giorno, dopo l’approvazione del reddito di cittadinanza, i parlamentari a cinque stelle hanno preso a diffondere una frase attribuita a San Francesco: «Cominciate col fare il necessario, poi ciò che è possibile, all’improvviso vi ritroverete a fare l’impossibile». L’ispirazione francescana del reddito di cittadinanza è stata confermata ieri da Luigi Di Maio e, più o meno una volta l’anno, se ne incarica Beppe Grillo, a proposito dell’azione politica complessiva. Liberi di farlo: l’hanno fatto tutti, da Silvio Berlusconi a Massimo D’Alema, e pure Gianfranco Fini intuì una legittimazione del Santo ai bombardamenti all’Iraq. Uno era francescano da Arcore, l’altro dal timone dell’Ikarus, l’altro ancora da Montecarlo, e figuriamoci se non possono esserlo questi, coi loro problemi di bonifico. In fondo ormai San Francesco è una figurina pop di cui ognuno prende e fraintende il pezzetto che vuole, ignorando quali tremende conseguenze implichi l’essere francescani. Non le ignorava Simone Weil, gigantesca filosofa cresciuta in una famiglia abbiente, fra agi e libri, quando decise di lasciarli per impiegarsi in fabbrica. Voleva stare fra gli ultimi e imparare a non inginocchiarsi, e confessò di essersi inginocchiata solo ad Assisi. Nella Basilica capì, forse compiutamente, che i poveri saranno sempre tali se il denaro «sarà la misura unica, cioè il veleno dell’ineguaglianza». È troppo facile, disse, «attribuire la sofferenza alla mancanza di denaro», nella povertà «San Francesco ha trovato la poesia, la bellezza e la verità». Non vi convince, vero? È comprensibile, tanto quanto è incompreso San Francesco.