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 2019  marzo 02 Sabato calendario

Debito ai massimi, oltre il 132%

È stato il valore aggiunto dell’industria manifatturiera (e in parte dalle costruzioni) a spingere l’economia nel 2018. Ma il forte ridimensionamento della domanda interna, in particolare i consumi delle famiglie, e il contributo negativo della domanda estera netta hanno attenuato quella spinta fin quasi a dimezzarne la portata rispetto all’anno prima. Così nel flash diffuso ieri da Istat i risultati pur positivi che hanno confermato il quinto anno consecutivo di ripresa, si alternano con dati più preoccupanti sui saldi di finanza pubblica. Il Pil in volumi è cresciuto dello 0,9% (contro il +1,6% del 2017) mentre a prezzi correnti, con un deflatore allo 0,8%, la variazione si è fermata all’1,7% (contro il 2,1% atteso da diversi analisti). Questo dato si accompagna con una tenuta dell’avanzo primario (+1,6% contro il +1,4% del 2017) e dell’indebitamento netto (cioè il deficit, pari a -2,1% contro il -2,4% dell’anno prima) ma il discorso cambia se si quadra al debito/Pil. 
L’aggregato che più ci penalizza nelle classifiche internazionali ed espone la nostra economia alla massima vulnerabilità è peggiorato, passando dal 131,3% del 2017 al 132,1 del 2018 (poco meno di 2.317 miliardi in valori assoluti). Le ultime previsioni del Governo puntavano ancora su un debito/Pil al 131,7%. L’aggravio degli oneri per interessi sono sicuramente una componente di questo maggior debito ma il conto consolidato della Pa offerto ieri dall’Istat è provvisorio, dunque non si può ancora dire quanto spread c’è dietro. Mentre la pressione fiscale, per il momento, si è fermata sullo steso livello del 2017, al 42,2%. Ieri il ministero dell’Economia ha comunicato i dati sul fabbisogno di febbraio, in crescita di oltre 3 miliardi. Il mese scorso il saldo del settore statale si è chiuso, in via provvisoria, con un fabbisogno di 9,7 miliardi, in aumento di circa 3,3 miliardi sullo stesso mese 2018. Il saldo, si legge in una nota, «sconta una diminuzione degli incassi» e a quest’ultima ha concorso, «in misura significativa, la diminuzione delle entrate rivenienti dai modelli F24 per circa 2,6 miliardi dovuta, quasi esclusivamente al rinvio, da febbraio a maggio, del termine per il pagamento dei premi Inail in autoliquidazione 2018-19». 
Tornando all’economia reale 2018, sul lato delle risorse, la spinta della manifattura c’è stata anche l’anno scorso (+1,8% dopo il +3,6% del 2017 e il +2,1% del 2016): in risalita dai minimi, attorno al 15% come peso del valore aggiunto totale calcolato dalla contabilità nazionale, ora l’industria è tornata sopra il 16,6%, poco meno di un punto rispetto al peso che aveva nell’economia nazionale prima della prima crisi finanziaria del 2007. I servizi, invece, hanno avuto una dinamica più fiacca: +0,7% il valore aggiunto 2018, quasi dimezzato in un anno, e stiamo parlando della componente che vale quasi il 74% del totale. Le unità di lavoro sono aumentate a un ritmo più moderato del 2017, mentre le retribuzioni pro capite hanno segnato un netto recupero. L’incremento delle unità di lavoro è dello 0,8%, sintesi di un incremento dei dipendenti (+1,3%) e un calo degli autonomi (-0,3%). La crescita ha interessato tutti i macrosettori, ad eccezione delle costruzioni (-0,2%). L’occupazione è aumentata dell’1,4% nell’industria in senso stretto, dello 0,8% nei servizi e dello 0,7% nell’agricoltura. Mentre i redditi da lavoro dipendente e le retribuzioni lorde sono cresciuti rispettivamente del 3,3% e del 3,0%.