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 2019  marzo 02 Sabato calendario

Vittorio Cecchi Gori si racconta

Vittorio Cecchi Gori è un uomo che ha fatto la storia del cinema e non solo. Una vita al massimo. Quando si arriva così in alto è inevitabile rischiare di cadere, ma quello che conta è sapersi rialzare. 
È membro dell’Academy. Cosa pensa dei vincitori degli Oscar 2019?
«Sono contento per la vittoria di Green Book. Un film che fa bene all’anima. Condivido anche l’affermazione di Roma tra i film stranieri. Quest’ultimo rappresenta un caso distributivo che mostra il progressivo assottigliarsi delle differenze tra cinema e televisione». 
Lei ha vinto tre Oscar
«In realtà quattro, ma ne L’ultimo imperatore subentrai all’ultimo, non facendomi inserire nei crediti. Ricevette nove premi Oscar, numeri da record». 
Quando ha deciso che si sarebbe dedicato al cinema?
«A cinque anni già stavo sui set, sulle ginocchia di Eduardo De Filippo. Il destino poi mi ha permesso di lavorare con Massimo Troisi, eccellente erede della tradizione attoriale eduardiana». 
Qual è il film della sua vita?
«Il postino. Troisi era un vero genio. Durante le riprese era molto affaticato, parlava poco. Ricordo una discussione in merito alla morte del suo personaggio. Mi sembrava non fosse necessaria, temevo che il pubblico potesse non apprezzare questa scelta. Lui mi disse: «non ti preoccupare per il pubblico, Troisi non muore mai». Massimo è morto il giorno successivo alla fine delle riprese. La forza di quest’uomo, che ha dedicato gli ultimi attimi della sua vita per realizzare un simile capolavoro, non finirà mai di commuovermi». 
Il Postino non venne scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar
«Nemo propheta in patria. In questo Paese spesso non si fanno scelte nell’interesse del cinema. Io decisi di distribuire Il postino nei cinema americani, sottotitolandolo in inglese. Partimmo in un cinema d’essai di mia proprietà ma presto, grazie al passaparola, il film divenne un fenomeno negli Stati Uniti. L’anno successivo ricevette 5 nomination agli Oscar e concorse nella sezione Miglior film». 
Rifarebbe l’esperienza politica?
«Ne avrei potuto fare a meno. La politica non rispecchia il mio modus operandi. L’ultima volta ho concorso con la Lega. Mi sembrava un partito realmente interessato a tenere in vita il cinema italiano. Non conosco personalmente Salvini ma mi piacerebbe riprendere quel discorso. Il cinema ha anche un ruolo diplomatico e le istituzioni dovrebbero interessarsene». 
Ci racconta un episodio off della sua vita?
«Molti pensano che Berlusconi sia il mio acerrimo nemico, ma non è così. La Penta Film è stata una delle migliori operazioni di imprenditoria cinematografica che io ricordi. Purtroppo la nostra collaborazione è finita troppo presto. Impazzì per Johnny Stecchino. Lo andò a vedere e mi chiamò per dirmi che non aveva mai riso tanto. Un’altra passione che ci accomunava era quella per il programma Colpo grosso. Ho una grande stima per Silvio Berlusconi e sarei felice di poterlo incontrare di nuovo». 
E nel suo futuro cosa c’è?
«Tra poco uscirà un documentario sulla mia carriera. L’ha prodotto Giuseppe Lepore. Io, invece, sto lavorando al remake de Il sorpasso. Un meraviglioso ritratto del nostro Paese che in questa versione ambienterò ai giorni nostri».