la Repubblica, 2 marzo 2019
Il vino cambia se cambia il tappo
Il vino cambia se cambia il tappo, e a quarant’anni dalla prima vendemmia Walter Massa sta provando a dimostrarlo. Il vignaiolo di Monleale, piccolo borgo in provincia di Alessandria, a cui si deve la riscoperta e il rilancio del Timorasso, vitigno autoctono dei colli tortonesi, sta dando un senso a questa tesi usando il suo Derthona, che chiude in sette modi diversi. Per vedere nel tempo l’effetto che fa. Dal sughero monopezzo di alta qualità al tappo a corona, quello delle bibite, passando per lo Stelvin (tappo a vite), per tappi sintetici e per quelli realizzati a partire da microgranina di sughero, tenuti insieme da leganti vegetali.
Perché l’esperimento abbia una qualche scientificità il vino imbottigliato è lo stesso ( proviene dalla stessa vasca), con identici livello di solfiti e quantità di ossigeno: «Il tappo è la chiosa del circuito che porta dalla vigna al bicchiere. Questo per me, che sono più un artigiano che un artista, significa poter chiudere le bottiglie usando dei materiali che non vadano a modificare il profilo e il gusto, espressione di questo territorio» racconta Massa. È una questione di controllo dell’ossigenazione, che nel caso del sughero monopezzo, legnoso ed elastico, non dà alcuna certezza sull’evoluzione del vino. Solo col sughero, poi, si rischia di aprire bottiglie che sanno” di tappo”, a causa di un fungo che rilascia Tca ( tricloroanisolo). È” tappata”, per esempio, la prima bottiglia del 2014 che Massa preleva dal suo magazzino per l’assaggio orizzontale, una delle cinque diverse che stapperà. «Siamo a casa mia, e posso prenderne un’altra. Ma in qualsiasi altro contesto, al ristorante o in una degustazione, questo Derthona sarebbe fuori gioco» spiega. Le cinque diverse chiusure cambiano davvero il vino: dopo tre anni in bottiglia, una chiusa col sughero ha sentori di miele, quella col tappo a corona ha mantenuto una maggiore acidità, il “vite” Stelvin esalta i tìoli, composti aromatici caratteristici del Timorasso. Massa apre quindi sette bottiglie del 2016: il vino è in bottiglia da un anno, le differenze sono meno marcate.
A fine 2018, i Vigneti Massa hanno imbottigliato 60mila esemplari di Derthona 2017. Quasi la metà, ben 25mila, sono con il tappo a vite. Il mercato americano chiede solo quello, e anche in Italia, in Svizzera e in Gran Bretagna – racconta Massa – «sta prendendo piede: il mio distributore nazionale, “Proposta Vini”, ha in catalogo sughero e vite, mentre alcuni locali, “Il Rosso & il Nero”, “Selezione Fattorie”, hanno ordinato solo Derthona chiuso con lo Stelvin».
Il tappo a vite non è più sinonimo di vino di scarsa qualità, e se il sughero – per il consumatore meno specializzato – conserva un che di romantico, la questione non è estetica, ma riguarda anche la salubrità: tra i tappi moderni in commercio è possibile scegliere quello più adatto a seconda del grado di permeabilità, cioè del quantitativo di ossigeno che entra ogni anno nella bottiglia, e che può causare l’ossidazione del liquido. Usando queste tipologie di tappi, quindi, si può arrivare a stabilire la durata del vino, e ridurre il livello di solforosa totale. A fine 2018, Walter Massa ha imbottigliato con 39 milligrammi per litro vite, 45 milligrammi le altre. Il limite ammesso nei vini bianchi è di 200, 150 per chi ha la certificazione biologica. L’anidride solforosa è un allargene.