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Intervista ad Antonio Scurati, che corre per lo Strega
Ha aspettato, ci ha pensato a lungo e alla fine ha deciso di scendere per la terza volta nell’arena dello Strega. Antonio Scurati è il nome che ancora mancava nella rosa dei potenziali candidati al premio, quello che può dare verve alla gara. M. Il figlio del secolo, uscito per Bompiani a settembre, è stato un caso letterario. Provate ad andare su Amazon per avere un’idea di come scaldi i cuori: sono 125 le recensioni appassionate che ne corredano la scheda di presentazione. Scurati titubava, non solo perché per due volte aveva partecipato senza vincere, ma anche perché impegnato a scrivere il secondo volume, quello in cui vengono narrati gli anni del regime. Il bello è che ora sarà presentato al premio da Francesco Piccolo, che nel 2014 gli soffiò lo scettro per una manciata di voti. Se lo scrittore ha sciolto le riserve – spiega a Repubblica – è per amore dei lettori: «Vivo la mia partecipazione come una spinta di impegno civile. Sono convinto che questo romanzo possa contribuire al risveglio di una coscienza democratica. Lo Strega è un forte veicolo di diffusione, contribuirà a far raggiungere a M. il più alto numero possibile di lettori». M. è in via di pubblicazione in 25 paesi nel mondo. Negli Stati Uniti è stato acquistato da HarperCollins e il New York Times gli ha dedicato un’intera pagina.
Nel romanzo racconta l’ascesa del fascismo dal 1919 al 1924. Quali sono a suo avviso i legami con il presente?
«Tutti siamo smarriti dall’avanzata dei nuovi populismi e l’Italia è guardata ovunque con interesse per quanto sta accadendo. In questo senso credo che il mio libro possa suscitare interrogativi e forse dare risposte. Non è la prima volta che accade. Il nostro Paese è da tempo considerato un laboratorio politico in tutto il mondo. Lo siamo stati cento anni fa con Mussolini, trenta anni fa con la leadership carismatica di Berlusconi e ora di nuovo con un governo sovranista».
Non crede che alludere a un possibile ritorno del fascismo sia improprio e forse anche rischioso?
«Sono contrario ad etichettare di fascismo i nuovi populismi È fuorviante e storicamente infondato. Il partito storico fascista creato da Mussolini il 23 marzo 1919 a piazza San Sepolcro a Milano era caratterizzato dall’uso della violenza come strumento primario. Un tratto oggi per fortuna assente. Ma se guardiamo alla disillusione, allo sconforto, al senso di tradimento delle persone, allora ci accorgiamo che sono molti gli elementi comuni tra oggi e ieri».
Si riferisce a un medesimo stato emotivo?
«Si sta ricreando lo stesso humus sentimentale degli albori del fascismo. Un astioso immalinconirsi della psicologia collettiva, un rancore diffuso.
Non dimentichiamo che l’Italia abbracciò il fascismo dopo aver vinto la guerra. Allora fu una retorica a vincere, una narrazione della realtà. Bastò all’immaginifico D’Annunzio parlare di “vittoria mutilata” per tramutare nello stato d’animo comune una vittoria in una sconfitta».
Sta dicendo che anche oggi siamo vittime di una falsa retorica, che qualcuno ci sta manipolando?
«Alcuni problemi esistono e sono stati sottovalutati. Altri sono frutto di demagogia, soffiano sui risentimenti della gente. Il nostro compito però non è guardare al palco, semmai è capire cosa accade tra le folle che covano quella stessa rabbia di cento anni fa. Serpeggia un dilagante umore nero che può essere barattato con le conquiste democratiche in cambio di una promessa di sicurezza. Pensiamo a quanto sta già accadendo nell’est Europa. Per questo sono felice che il romanzo sia vissuto dai lettori come una palestra di antifascismo. Sono soprattutto i più giovani, le generazioni che non hanno ricordi di quel tempo a scrivermi. Mi dicono di aver capito finalmente che cosa ha significato il fascismo».
Non dovrebbe essere la scuola a dare ai ragazzi gli strumenti per conoscere il passato? Ciò che dice sembrerebbe la spia di un fallimento. Serviva un romanzo per far scoprire il fascismo?
«Ho sempre fatto l’insegnante, prima nei licei, oggi all’università. La scuola che ho conosciuto, negli ultimi venticinque anni è franata, precipitata. Non ha più la capacità di fornire un’educazione civica, vi ha quasi rinunciato. Il risultato è che si è smarrito il senso della storia, la capacità di riconnettersi al passato. Viviamo sempre più appiattiti sulla cronaca».
Crede sia colpa degli insegnanti?
«Del ceto politico soprattutto, che attribuisce sempre meno importanza all’istruzione, sostituendola con l’entertainment. Non a caso uno dei tratti dei nuovi populisti è l’ostentato disprezzo verso conoscenze e cultura. Si rivendica con orgoglio il fatto di poter governare senza studi. Ecco un altro tratto in comune: Mussolini era un maestro elementare che aveva una cultura raccogliticcia, sorretto nella sua ascesa al potere da una donna, la raffinata critica d’arte Margherita Sarfatti, che era poi una delle sue amanti».
Non teme di aver trasformato Mussolini in un personaggio epico?
«Ho applicato una spietatezza di sguardo letterario e una rigorosa adesione ai documenti. Lo so, è piaciuto anche ai nostalgici, non voglio nasconderlo, perché racconta quegli anni senza pregiudiziali ideologiche e perché non trasforma Mussolini in una macchietta. Ma è servito maggiormente a corroborare le coscienze degli antifascisti, ne sono certo».
Partecipa allo Strega per vincere?
«Per raggiungere un pubblico più ampio possibile. Ovviamente ciò accade quando vinci».