«Esattamente. Spesso inizio le mie presentazioni ai congressi con la foto di due zanzare che si accoppiano. Oppure uso un video al rallentatore. Mi permette di rompere il ghiaccio, suscitare qualche risata».
Non è voyeurismo, intuiamo. Le zanzare sono l’animale più letale del mondo.
«La malaria provoca mezzo milione di morti all’anno. Quasi tutti sono bambini africani al di sotto dei 5 anni. Mi sono laureata in chimica a Roma, ma quando ho avuto la possibilità di seguire un corso sulla biologia delle zanzare è scoccata la scintilla. È un problema di portata enorme. Mi ci sono gettata anima e corpo, prima all’Imperial College, poi Harvard mi ha strappato a Londra. La biologia della riproduzione di questi insetti è assai peculiare.
Capirla ci potrebbe dare l’opportunità di bloccare la trasmissione del parassita».
Come si fa, dal punto di vista pratico, a studiare la vita sessuale delle zanzare?
«Il mio lavoro si divide in due fasi. La raccolta degli insetti avviene in Africa, poi studiamo i campioni e la loro biologia nel laboratorio di Boston. Abbiamo un insettario, un locale pieno di gabbie dove le zanzare vengono nutrite con sostanze zuccherine o, durante la gravidanza, con sangue. Usiamo gli scarti delle donazioni».
Ci racconta le spedizioni in Africa?
«Passiamo un mese a Bobo-Dioulasso, la seconda città del Burkina Faso. Da lì ci muoviamo nei villaggi vicini, dove le risaie fanno prosperare gli insetti. Nella stagione degli accoppiamenti ogni sera assistiamo allo spettacolo degli sciami di maschi e femmine che si incontrano. Accade sempre al tramonto».
Come avviene?
«Prima si alza in volo uno sciame con centinaia di maschi. Poi arrivano le femmine, che sono molte meno. Accoppiarsi in volo è faticoso. Tutto dura una ventina di secondi, e per la femmina non si ripeterà una seconda volta».
Perché?
«Qui entrano in gioco le nostre scoperte. Con lo sperma, i maschi inoculano un ormone che blocca i pretendenti successivi. Questo ormone può diventare un ingrediente importante nella lotta alla malaria. Spargendolo, potremmo controllare la riproduzione».
Una specie maschilista, si direbbe?
«Niente affatto, è esattamente il contrario. Le femmine sono meno, sono più grandi e hanno gusti ben precisi. Se si fa avanti un maschio sgradito viene spinto via senza complimenti. Non abbiamo ancora stabilito esattamente come si formino le preferenze delle femmine, ma sospettiamo che dipenda dal sapore dei maschi. Questi insetti infatti hanno delle papille gustative sulle zampe. Toccandosi, possono assaporare i feromoni, sostanze chimiche che inviano messaggi di tipo sessuale. Alla fine sono pochi i maschi che riescono ad accoppiarsi e anche questo è un aspetto che fa ridere ai congressi. Più le donne, in realtà».
Poi cosa fate quando tornate in laboratorio a Boston?
«Dagli sciami con i retini riusciamo a catturare alcuni esemplari, di cui studiamo la biologia ad Harvard. L’articolo su Nature suggerisce una strategia alternativa agli insetticidi. Le zanzare infatti stanno diventando sempre più resistenti a questi prodotti, che restano pur sempre nocivi per noi. Quel che proponiamo è dare agli insetti le stesse medicine che diamo all’uomo per combattere il plasmodio: il microrganismo che è il vero responsabile della malaria. Suggeriamo cioè di curare le zanzare anziché sterminarle, in modo che non possano più infettarci. Quando spargiamo le medicine sulle zanzariere, gli insetti le assorbono dalle zampe».
Se una sera d’estate in vacanza viene punta, cosa fa?
«La schiaccio, senza esitazioni. Ma poi me la prendo e la porto in laboratorio».