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 2019  marzo 02 Sabato calendario

I sauditi alla conquista della Scala

Due concerti targati La Scala destinati a entrare nella storia, se non altro perché soltanto parlare in pubblico del soggetto di uno di essi, gli amori della cortigiana Violetta, in Arabia Saudita fino a poco tempo fa sarebbe stato un biglietto certo per il carcere. Un’accademia per formare musicisti, ballerini e cantanti in un Paese dove musica e danza sono stati a lungo banditi. E infine una donazione, ancora allo studio, che se si realizzasse farebbe della nazione più discussa degli ultimi mesi un punto di riferimento nella principale istituzione culturale italiana. L’accordo che si sta delineando fra il Teatro alla Scala di Milano e l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman (MbS)poggia su queste tre gambe. Finora, solo quella relativa alla rappresentazione in forma di concerto della Traviata e del Rigoletto nel regno nei prossimi mesi era nota.
Il cuore dell’intesa sarà annunciato il 10 marzo dal principe Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan Al Saud, ministro della Cultura saudita, amico di Mohammed bin Salman, salito all’onore delle cronache per aver acquistato – si dice per conto dell’erede al trono – il Salvator Mundiattribuito a Leonardo da Vinci per 450 milioni di dollari. A Riad il principe Bader illustrerà al mondo la strategia culturale del regno per i prossimi anni: e, fra le altre notizie, dirà che nella città del divertimento che sta sorgendo alle porte di Riad ci sarà spazio per un’accademia gestita dalla Scala: qui i giovani sauditi potranno formarsi alle arti per cui il teatro italiano è famoso.
Di fatto l’accordo firmato a gennaio dal sovrintendente Alexander Pereira con i rappresentanti del ministero della Cultura saudita, consegna ai professori della Scala la responsabilità di creare il cuore del gruppo di professionisti di cui Riad avrà bisogno quando i tre teatri dell’Opera di cui ha annunciato la costruzione saranno operativi. Proprio il principe Bader e Pereira sono i protagonisti di questo incontro di civiltà impensabile nell’Arabia Saudita chiusa e conservatrice di pochi anni fa. Il Maestro ha cominciato a interessarsi al regno diversi mesi fa e nell’estate scorsa ha ufficialmente espresso interesse per una collaborazione. Poi – senza troppo clamore, viste anche le polemiche generate dall’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi – il principe Bader è stato fra gli ospiti d’onore dell’Attila con cui la Scala ha inaugurato la stagione 2018-2019. Proprio in quella sede sarebbe nata la discussione sulla terza parte dell’accordo, quella ancora in fase di studio: la donazione di più di dieci milioni di euro da parte del governo saudita alla Fondazione alla Scala.
Un’operazione a cui Pereira sta lavorando con pazienza: anche perché lo aiuterebbe a restare, come vorrebbe, sulla poltrona di sovrintendente per altri due anni dopo la scadenza del suo mandato, prevista per il 2020. Una volta approvata dal consiglio di amministrazione, la donazione porterebbe il regno fra i soci fondatori del teatro accanto a nomi come Eni, Pirelli, Generali e Tod’s. «La partnership con la Scala rientra perfettamente nei piani di sviluppo culturale dell’Arabia Saudita», spiega Sean Foley, autore di Changing Saudi Arabia: Art, Culture, and Society in the Kingdom, un libro che dettaglia la rivoluzione culturale del Paese negli ultimi anni. «Dal 2015 lo Stato ha cercato di costruire un movimento artistico per farne un volano di impiego per i giovani in settori non legati al petrolio. In questo modo, Mohammed bin Salman vuole ridurre la dipendenza del suo Paese dall’industria petrolifera».
Accordi culturali simili a quello della Scala sono stati firmati con la Francia, che si è assicurata contratti miliardari per lo sviluppo della regione turistica di Al Ula e ha già coinvolto l’archistar Jean Nouvel. In quella fase, complici le incertezze legate alla fase elettorale, l’Italia era rimasta tagliata fuori: ora torna in scena, forte di un brand famoso in tutto il mondo. Ma in questi mesi l’immagine del regno è stata pesantemente danneggiata dalle ricadute del caso Khashoggi: dunque ci sono pochi dubbi sul fatto che la partnership sia destinata a creare polemiche in Italia, come già accaduto per la finale di Supercoppa fra Juventus e Milan giocata a Gedda a gennaio. L’omicidio del giornalista e la denuncia delle torture subite in carcere dalle attiviste arrestate nel maggio scorso hanno infatti messo l’Arabia Saudita in cima alla lista nera delle organizzazioni non governative.
E non solo: due settimane fa il Senato Usa ha votato per mettere fine al sostegno alla guerra in Yemen, mentre la Germania ha già sospeso la fornitura di armi a Riad. Per non parlare del fatto che MbS – considerato da molti il mandante dell’omicidio Khashoggi – e i suoi uomini siano diventati interlocutori scomodi per molti governi occidentali. «L’Arabia Saudita sta cercando di pulire la sua immagine dopo quello che ha fatto negli ultimi mesi. È un’iniziativa disperata.Comprare una partnership con La Scala potrà distrarre i media per un po’, ma non farà dimenticare quello che stanno subendo le attiviste in carcere. O il fatto che il corpo di Khashoggi non è mai stato recuperato», afferma Omaima al Najjar, attivista saudita che ha ottenuto asilo politico in Italia. La prima di molte, prevedibili, voci contrarie.