Libero, 2 marzo 2019
Francesco II, il re portato al guinzaglio dalla moglie
Vi sono uomini destinati a cambiare la storia. Altri, semplicemente, la subiscono. Esiste infine una terza categoria, quella degli ominicchi, il cui destino è di essere dominati. Facendo un tuffo nella storia del Risorgimento e attraversando le sale della corte borbonica, ci si imbatte nel ritratto di Francesco II, figlio di Ferdinando (soprannominato «Re Bomba»). Quando muore, il 22 maggio 1859, lascia il trono al figlioletto Francesco, all’epoca ventiduenne. Un pischello talmente imbranato da essere seguito in tutto e per tutto dai suoi tutori. Costui non poteva mai starsene da solo, nemmeno di notte, sotto le lenzuola. Anche in quei momenti, infatti, veniva sorvegliato da un sacerdote. Il giorno lo trascorreva a Caserta, tra una festicciola e l’altra, senza mai incrociare lo sguardo di una fanciulla. L’8 gennaio del ’59, finalmente, inizia a spiare sotto le gonnelle della figlia del duca di Baviera Giuseppe Massimiliano e della principessa Ludovica. Il suo nome è Maria Sofia. Prima del matrimonio, la giovincella non aveva voluto sapere granché del povero Francesco, che del resto non possedeva una bellezza rara né tanto meno si distingueva per delle doti intellettuali. Sembrava l’esatto opposto di lui, il quale temeva (non a torto) di essere cornificato da un momento all’altro. Affascinante e passionale, Maria Sofia era una libertina, capace di andarsene a zonzo tutto il pomeriggio, adagiata su un bel cavallo bianco. Non amava la vita di corte e la noia mortale che doveva regnare in quelle stanze imporporate. In pubblico, fumava con spavalderia alla faccia dei bigotti, mentre in sala da pranzo si portava dietro gli amatissimi cani di razza. Franceschiello sopportava.
EMANCIPATA E APERTA
Ma contrariamente alle aspettative, Maria Sofia non era solo una farfallina. Era dotata di un’intelligenza ed un intuito superiore alla media. Un esempio di donna emancipata, che potrebbe assurgere a modello per le femministe. Quanto al suo consorte, per lui c’era ben poco da fare. Della sua scarsa reputazione erano giunte notizie a Camillo Benso conte di Cavour in una lettera a lui indirizzata il 18 gennaio del 1857. Riportiamone alcuni frammenti. «La sua educazione fu informata da uno spirito stolto, l’istruzione che egli ha ricevuto è difettosa in moltissime parti, specialmente per quel che concerne l’insegnamento dell’istoria». E ancora, qualcosa di più riguardo al suo carattere: «A chi lo vede appare triste, annoiato e indifferente a tutto. Alto alquanto di persona e di complessione piuttosto gracile, è di carattere timido e cupo, e dal suo volto non è mai dato conoscere quali siano le impressioni del suo animo». In un momento storico simile, proprio non ci voleva. Infatti, di lì a poco si sarebbe deciso il futuro di tutta la casata dei Borbone, minacciata dall’espansionismo savoiardo. Fece il contrario di quello che avrebbe voluto suo padre, il quale gli aveva suggerito di tenersi alla larga dai Savoia. A costoro, invece, spalancò le porte di casa. Se Franceschiello si chinò di fronte alla causa italiana, dobbiamo ringraziare la bella Maria che, a questo punto, merita il titolo, suo malgrado, di eroina nazionale. Guidò Francesco II in una nuova avventura liberale, favorendo l’apertura verso il partito costituzionale e la causa dei suoi tradizionali avversari. Il percorso non fu privo di ostacoli e di complotti, specialmente da parte della matrigna Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, la quale tramò per destituire Franceschiello nella speranza di farlo rimpiazzare dal figlio Luigi.
LA RESISTENZA
Ironicamente sostengo che Maria è diventata un’eroina italiana, sebbene non rientrasse nelle sue intenzioni. I Savoia avrebbero fatto la sua rovina e quella di suo marito. Sostenuto dalla moglie in una campagna di liberalismo e riformismo, il re dei Borbone si era inoltre circondato di doppiogiochisti e ministri compromessi coi Piemontesi. Ad esempio, Romano Liborio. Ma torniamo alla nostra dama. Rapiva col suo sguardo felino ed era un’abile diplomatica. Eppure, è anche il simbolo della donna che si è fatta da sé e della resistenza. Mentre sulla città di Gaeta piovono le cannonate dei Piemontesi e il re se la fa sotto, la nostra eroina parte alla riscossa. Con tanto di abiti maschili, si butta a capofitto per le strade a soccorrere i feriti e rinforzare il morale delle truppe. Attraversa Gaeta a cavallo per portare alla popolazione cibo, medaglie, coccarde e fotografie che la ritraggono in pose seducenti. Un gesto di vanità, certo, ma che cela intraprendenza e coraggio. Quello che mancava al suo spasimante. Il giovane «Passerotto», come veniva chiamata Maria in casa, suscitava le malizie e le perversioni di quanti la incontravano. Un caso che destò scalpore fu quello avvenuto nel febbraio del 1862. Quell’anno, uscirono allo scoperto alcune foto che la ritraevano nuda e lasciva. Le pellicole furono in realtà dei fotomontaggi, diffusi e inviati anche al Papa. Come se non bastasse, ebbe fama di traditrice. In effetti, Franceschiello era affetto da fimosi, una patologia che lo rendeva quasi impotente. Stanca di contare le pecore a letto, Maria decide di avere una relazione con un tale Armand de Lawayss, dal quale ha due figlie. Si ritira nella casa dei famigliari, a Possenhofen, partorendo in segreto per evitare ulteriori scandali. Del resto, la reginetta aveva già fatto parlare di sé. Nel bene e nel male, non è stata soltanto una libertina emancipata, ma anche una diplomatica, una donna di Stato e partigiana, molto più del suo reuccio da strapazzo.