Libero, 2 marzo 2019
Le lettere di Miss Dickens
Charles Dickens, il più virtuoso e progressista tra i romanzieri ottocenteschi, che nei suoi romanzi ha denunciato le impossibili condizioni dei miserabili nella Londra vittoriana, la subalternità della donna, gli orrori di penitenziari e manicomi, era un grandissimo ipocrita. Così emergerebbe dalle “rivelazioni” di uno studioso dell’Università di York, John Bowen. Che ha scoperto il professor Bowen? Citiamo le sue parole: «Da molti anni biografi e studiosi sono a conoscenza del pessimo comportamento di Dickens in questi anni (cioè quelli intorno al 1858, anno della sua separazione dalla moglie Catherine Hogarth), ma ora sembra che egli tentò addirittura di piegare la legge allo scopo di rinchiudere la moglie, e madre dei suoi figli, in un manicomio, nonostante lei fosse palesemente sana di mente». A sostegno di questa accusa il prof. Bowen allega una lettera, estratta da un fascio di 98 conservato nella libreria dell’università di Harvard. Nella missiva un tal Edward Dutton Cook, vicino di casa di Catherine e suo confidente negli ultimi mesi di vita, scrive: «Dickens scoprì infine di non provare più attrazione per lei. Catherine aveva partorito dieci figli e perso molto della sua bellezza, e stava invecchiando. Dickens tentò addirittura di chiuderla in manicomio, poverina! Ma per quanto mal fatta sia la legge che constata la malattia mentale, non riuscì a piegarla ai suoi scopi». Forte di questa testimonianza che considera provenire «dalla bocca della diretta interessata», il professor Bowen non trattiene la sua indignazione: «In qualche modo è una storia come quelle del movimento “me too” sul potere di un’élite di uomini che piegano le donne ai loro desideri. Ma anche una storia di manipolazione, in cui si tende a convincere qualcuno della sua pazzia. Ed è anche una storia di onesti professionisti (il medico che avrebbe rifiutato di firmare la diagnosi di pazzia, provocando le ire di Dickens) che resistono alle pressioni dei ricchi e potenti». INGLESI MASOCHISTI Ecco fatto. Il “me too” nel XIX secolo, taglia la testa anche all’autore di “Oliver Twist” e “La piccola Dorrit”. Quanto piace, ai contemporanei, specie se nani, sminuire i giganti del passato. La notizia del Dickens “manipolatore” che “voleva far rinchiudere la moglie in manicomio” per spassarsela con l’amante, l’attrice Ellen Ternan, ha trovato sui media inglesi un’accoglienza così entusiastica da sfiorare il masochismo. Tutta la cultura britannica si è unita nel dare addosso al suo più grande romanziere, quel lurido maschilista e commediante, che da un lato denunciava gli orrori di Bedlam, il manicomio di Londra, e dall’altro voleva rinchiuderci una moglie che ormai giudicava passata di cottura. LA DIFESA D’UFFICIO Allora tocca a noi tentare una difesa d’ufficio di Charles Dickens contro le accuse del professor Bowen. Primo: la testimonianza “dalla fonte dell’interessata” risale al tempo in cui Catherine Hogarth, vicina alla morte, per lenire i suoi dolori era imbottita di morfina, sostanza che notoriamente non aiuta la lucidità del soggetto. E risale a circa vent’anni dopo la separazione da Dickens, quando lo scrittore era morto e non in condizione di difendersi da ricordi distorti dal rancore o dicerie. Secondo: la testimonianza, cui Bowen dice di credere senza alcun dubbio come fosse la Bibbia, non ci giunge direttamente dalla bocca o dalla mano di Catherine, ma dalla lettera di un amico di lei, Cook, suo “vicino di casa”. L’attendibilità e l’imparzialità di questo “vicino di casa” andrebbero preliminarmente approfondite e accertate, se si vuole fare un’indagine storica seria. Ma nulla di tutto questo pare sia stato fatto dal professore dell’università di York. Terzo: Catherine Hogarth non passò un solo giorno in manicomio. Quindi Dickens, anche se “ricco e potente”, nonché “maschio dell’élite” a quanto pare fu incapace di esercitare questi suoi insopportabili privilegi. E chi l’avrebbe ostacolato? Un medico, anche lui maschio, ma evidentemente non parte dell’élite immaginata dal professor Bowen, un tal Thomas Harrington Tuke. Abbiamo un qualche documento in cui Tuke ci informi di aver ricevuto pressioni da Dickens e averle rifiutate? Nessuno. Tutte ipotesi del professor Bowen. In definitiva tutto il capo d’accusa si regge su una testimonianza dubbia, indiretta, a vent’anni dai fatti, raccolta da un “vicino di casa” al capezzale di una donna malata e sotto morfina. Complimenti, professor Bowen!