Corriere della Sera, 2 marzo 2019
Il M5S crolla al 21,2%, la Lega sfiora il 36%
La campagna per le elezioni europee comincia ormai a entrare nel vivo. L’Europa boccia sostanzialmente la manovra disegnando un quadro fosco, parlando di squilibri eccessivi del quadro economico delineato, dell’eccesso del debito pubblico e giudicando l’insieme della manovra rischiosa per gli equilibri economici europei e non efficace per la crescita. Tesi fermamente e seccamente respinta dal governo nazionale. Sembra quindi che, forse per la prima volta, nella campagna europea si parli effettivamente di Europa.
Dopo le ultime intenzioni di voto pubblicate circa un mese fa, ci sono state due elezioni regionali, quella in Abruzzo il 10 febbraio e quella recentissima in Sardegna, la scorsa settimana. Sebbene si sia trattato di consultazioni locali (presenza di liste civiche, importanza delle candidature), sono emerse due nette tendenze: la crescita della Lega e la flessione dei 5 Stelle, con il consueto riflesso post elettorale: consolidamento di chi è considerato vincitore e flessione di chi è visto come lo sconfitto.
Oggi le intenzioni di voto sembrano in parte inserirsi nel corso segnato dalle elezioni regionali. I risultati vedono ancora una volta un piccolo progresso della Lega, ormai vicina al 36%, mentre il M5S si attesta al 21,2%, oltre quattro punti sotto la rilevazione di circa un mese fa. Come sappiamo, l’elettorato pentastellato è piuttosto trasversale e proviene da culture diverse e in qualche caso confliggenti, basti pensare alla divisone emersa nel voto online della scorsa settimana. Inoltre, i disagi per una serie di temi (dalle grandi opere all’immigrazione, dal decreto Sicurezza all’autonomia regionale) sui quali le posizioni del gruppo dirigente pentastellato appaiono in alcuni casi eccessivamente acquiescenti verso la Lega, provocano allontanamento in parte dei sostenitori.
Se guardiamo al modificarsi della composizione degli elettorati, per la Lega vediamo da un lato la capacità di acquisire elettori dalle forze del centrodestra e in particolare da Forza Italia ma anche un discreto flusso di elettori che escono dal M5S. Crescono, in questa formazione, gli elettori provenienti dagli strati più popolari (casalinghe, pensionati, bassi titoli di studio, età elevate) ma anche, in misura meno rilevante, di ceti superiori e acculturati. In sostanza la Lega diventa punto di riferimento di un vasto elettorato trasversale.
Il M5S vede flussi in uscita in due direzioni: il più rilevante verso l’astensione, dove transitano gli elettori critici verso la subalternità alla Lega e che si richiamano ai valori originari, e un secondo flusso meno consistente ma apprezzabile verso la Lega. Le perdite principali si registrano in questo caso tra gli elettori di livello medio/alto, professionalizzati e scolarizzati, studenti, che si sono spostati prevalentemente nell’area dell’astensione, ma anche fra i lavoratori autonomi che presumibilmente hanno invece scelto di spostarsi sulla Lega.
Per le altre forze principali, i segnali sono di una piccola ripresa del Pd, che sale al 18,5% (+2,4% rispetto a inizio febbraio) e torna ai valori di dicembre e delle Politiche di un anno fa, grazie ai risultati delle Regionali che, pur non premiandolo, hanno visto in pista il centrosinistra nel suo insieme, e alla campagna per le primarie che, per quanto non particolarmente mobilitante, contribuisce a rinsaldare gli elettori vicini. Forza Italia conferma i propri risultati, collocandosi all’8,6%, mentre Fratelli d’Italia e +Europa si attestano al livello della soglia di sbarramento. La situazione economica non positiva – l’Italia è in recessione tecnica, sono stati resi noti i dati della produzione industriale del 2018 che è diminuita di oltre il 7%, e non succedeva dal 2009, mentre la previsione è di una crescita debole per quest’anno – e il calo dei pentastellati si riverberano sull’apprezzamento del governo che fa segnare una diminuzione di giudizi positivi (dal 54% di gennaio al 50% odierno) e un aumento di 5 punti di quelli negativi (da 37% a 42%), facendo scendere l’indice di gradimento di 5 punti da 59 a 54, il livello più basso dall’insediamento dell’esecutivo.
Al contrario il giudizio sul premier Conte non subisce contraccolpi, anzi: i giudizi negativi flettono di due punti (da 37% a 35%) e quelli positivi rimangono maggioritari e stabili (53%), portando l’indice di gradimento da 59 a 60.
Insomma, in questo scenario che vede il M5S nella fase più critica da un anno a questa parte, ci si chiede se possano bastare le dichiarazioni di fedeltà di Matteo Salvini a Luigi Di Maio per la tenuta della maggioranza a frenare il calo di consenso dell’esecutivo.