Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 02 Sabato calendario

Un taglia da un milione di dollari sul figlio di Bin Laden

«Legioni di mujaheddin sono in marcia e io non sono con loro», si rammaricava Hamza in una lettera al padre Osama barricato nel rifugio di Abbottabad, in Pakistan. Fremeva il giovane Bin Laden, voleva imbracciare il fucile, come gli aveva promesso il genitore allevandolo e addestrandolo affinché fosse pronto al grande salto. È passato molto tempo da allora e Hamza, oggi trentenne, ha avuto almeno un doppio riconoscimento dai nemici più odiati, gli Usa e l’Arabia. Washington ha messo una taglia di un milione di dollari sulla sua testa mentre Riad ha rivelato di aver revocato la nazionalità fin da novembre. Ma, per motivi poco chiari, non aveva reso pubblica la mossa simile a quella adottata negli anni ’90 nei confronti di Osama. 

Il predestinato

Simbolismi e messaggi a distanza attorno ad un predestinato. Nato a Gedda nel 1989, Hamza, è sempre stato il favorito del capo terrorista e lo ha seguito a lungo insieme alla madre Khairiah. Erano come dei pellegrini della guerra santa, disposti a tutto, obbedienti alle scelte del patriarca e adattabili a quanto decideva il destino. Il ragazzo è apparso in un primo video quando aveva solo 12 anni, attorniato da militanti con i kalashnikov, vicino ai rottami di un elicottero. Era il 2001. Viveva in Afghanistan, in condizioni spartane, respirava aria di jihad, ascoltava gli «anziani»e intanto vedeva avvicinarsi la fine del regno del talebano, rovesciato dall’assalto statunitense e dell’Alleanza del Nord. 

Tora Bora

Raccontano che Osama si sia separato da lui e da altri due figli prima entrare nelle gole di Tora Bora, bombardate dai B52, con Cia e commandos convinti di poter catturare lo «stato maggiore». Invece riusciranno a scappare grazie a molte complicità. Bin Laden manda parte della famiglia in Iran, dove Hamza sarà arrestato nel 2003 insieme ad altri dirigenti. Diventano ostaggi ma anche una possibile pedina di scambio in mano ai pasdaran, pronti a servirsene nel grande bazar mediorientale. È un periodo complicato per lui, incerto, ma che gli permette di ricevere gli insegnamenti di due quadri importanti, Saif el-Adel e di Abu Mohamed al-Marsi, del quale sposerà la figlia. Nozze documentate da uno dei rari filmati resi pubblici.

Il blitz a Abbottabad

Successivamente avrebbe dovuto trasferirsi in Qatar, ma alla fine aveva convinto il padre ad accoglierlo ad Abbottabad. Un ricongiungimento bloccato dall’uccisione di Osama che lo aveva designato come possibile «delfino», dopo un necessario periodo di training. E Hamza ha ripreso la sua carriera interna al movimento, stabilendosi — ipotizzano — nell’area al confine Pakistan-Afghanistan. Inizierà a far sentire la sua voce, senza mai mostrare il volto per ragioni di sicurezza. Con una serie di interventi, ripete a pappagallo gli slogan del padre, indica gli avversari e i target. Al primo posto ci sono gli ebrei, poi il resto: gli americani, gli occidentali, gli sciiti e, ovviamente, gli al-Saud. Lui si appella ai lupi solitari del qaedismo, esorta i musulmani sauditi a rovesciare i principi sauditi, considerati oppressori e complici della Casa Bianca. Chiede vendetta per il genitore. Non ha un grado, sarebbe alla guida di un nucleo noto come Ansar al-Furqan, molti scommettono che sarà lui a rilanciare la fazione oggi guidata dallo scialbo Ayman al-Zawahiri, l’ideologo forgiato attraverso le tante ere dell’islamismo radicale.

Ruolo futuro

Per l’intelligence Usa, Hamza può avere un ruolo cruciale, altri non escludono che cerchi di ridurre i contrasti con i concorrenti dello Stato Islamico. I suoi riferimenti costanti alla Siria come terreno di battaglia sono letti come un tentativo di collocarsi al centro, anche se i seguaci di Bin Laden oggi molto forti nell’enclave di Idlib hanno preso le distanze dalla casa madre. Scenari in una scienza mai esatta. Scrivono — e gli Usa lo ribadiscono nel loro bollettino di ricerca — che l’erede avrebbe una nuova moglie, la figlia di Mohammed Atta, uno dei kamikaze dell’11 settembre. Quello che chiamavano il soldato perfetto. Un matrimonio politico, perché lega presente e passato, un vincolo che richiama tradizione e storia di Al Qaeda. Un particolare, quasi un gossip mondano, ma sul quale non mancano molti dubbi e smentite di alcuni esperti.

L’attesa

È probabile che il figlio prediletto possa insediarsi al vertice, però sul campo gruppi importanti sembrano ancora legati all’attuale gerarchia, per quanto fluida. Forse le colonne regionali del qaedismo preferiscono agire in base ad agende locali garantendosi una certa autonomia e al tempo stesso rispettare la catena di comando del dopo-Osama. Ma la nuova notorietà data ad Hamza dalla mossa statunitense e dalla scomunica di Riad potrebbero aiutare l’aspirante «emiro» a salire più in fretta i gradini. Sempre che un drone o una spia non lo fermino prima.