Il Messaggero, 2 marzo 2019
4 marzo 2018-4 marzo 2019, un anno in gialloverde
Un anno lungo un secolo? Un anno vissuto pericolosamente? Ogni titolo va bene per questo film in scena dal 4 marzo 2018 al 4 marzo 2019 su tutti gli schermi italiani. Ed è insieme avventuroso e thriller, un po’ fantasy e assai commedia all’italiana. Del tipo di quella firmata da Enrico Vanzina e Marco Risi: «Natale a 5 stelle». Arrivano i nuovi sull’onda del vento del «cambiamento» ma solo dopo 90 giorni di travaglio vedrà la luce il governo. Con un parto strano: generato dal Contratto del Pirellone ed ecco allora – una primizia nella storia italiana – il primo esecutivo non nato a Roma ma a Milano.
Ma il boom elettorale dei 5 stelle s’era sentito ovunque. E quella notte, quando, i grillini sfondano il muro del 30 per cento parte l’abbraccio virale di Di Maio e del Dibba alla festa nell’hotel Parco dei Principi, e Bonafede salta e poga, il neo-senatore Paragone mima una schitarrata super-rock da We are the Champions e Luigi fa con le vita il segno del trionfo come Churchill dopo aver vinto la seconda guerra mondiale, ma Winnie sapeva quello che il capo pentastellato avrebbe scoperto più tardi e sta patendo ancora. Ossia che «i problemi della vittoria sono più piacevoli ma non meno ardui di quelli della sconfitta». E così, in un anno, dal grido «rivoluzione!» si passa – tra un compromesso e l’altro e tra convergenze e divergenze parallele del futuro governo in giallo-verde – al democristianissimo – «meglio tirare a campare che tirare le cuoia».
Il voto ha messo fine di colpo alla Seconda Repubblica, quella fondata sull’alternanza tra centrodestra e centrosinistra, e subito comincia la lunga crisi politica. Cottarelli premier sì o no? Pareva di sì, e invece no. Funziona il diktat renziano (mai il Pd con i 5 stelle, anche se ambienti istituzionali importanti non disdegnano l’ipotesi e l’accordo giallo-dem era già quasi pronto) e si arriva all’«avvocato del popolo». E diventa «il vice dei due vice (Di Maio e Salvini).
NO MARTE
Conte viene scelto a sorpresa. L’outsider, un po’ renziano, prof di diritto del dimaiano Bonafede e insomma eccolo alla ribalta al posto proprio di Di Maio – restato malissimo per non essere lui il prescelto: addirittura l’impeachment aveva minacciato, poi ha chiesto scusa – e non poteva che esordire così, nella festa del 2 giugno subito dopo il giuramento, il giurista auto-proclamatosi «populista»: «Non siamo marziani e lo dimostreremo». E Di Maio: «Ora al lavoro per creare lavoro». Ma Grillo insiste «via dall’euro» e i grillini cominciano a stufarsi dello zio Beppe che comincia infatti a maturare il suo nuovo mood: «I grillini? Perché, esistono?».
In un anno, la Rai – si pensava che Elisa Isoardi, quando era ancora fidanzata di Salvini, decidesse le nomine ma non è andata così – è stata soprannominata TeleVisegrad. Il Cigno Nero doveva arrivare ma non è arrivato. In compenso tanta Nutella, con broccoletti e fritti d’ogni genere, ingurgitati via social dal Capitano che rovescia le proporzioni: il 32,6 per cento M5S il 4 marzo settimana dopo settimana s’assottiglia e rischia di dimezzarsi e il 17,3 del Carroccio raddoppia quasi.
L’Europa spara, ma vabbé. Il «piccolo Mussolini», così Moscovici chiama Salvini, ripete «andiamo avanti» (altra parola simbolo della stagione impaludata) e guai a nominare Macron. L’Italia per lui è diventata «vomitevole», e per la prima volta dal tempo della guerra (1940) Parigi ritira l’ambasciatore da Roma. Ma tanto il «piccolo Napoleone», questo il grido del Salvimaio, sarà spazzato via alle prossime Europee. E anche a questo serve la manovra economica elettoralistica: a dare una prima botta alla Ue.
Il 4 marzo viene concepito come un’antipasto dello spezzeremo le reni al vecchio continente. Perciò viene richiamato il Dibba dal Guatemala, ma si prede nelle montagne abruzzesi e poi sparisce. Ma i punti qualificanti dei grillo-leghisti restano un must: reddito di cittadinanza (se regge) e quota 100 perché «della Fornero non deve restare niente di niente». E se dovesse restare qualche briciola, Salvini la ingurgita in diretta facebook in mezzo a un mare di cuoricini e di like. La propaganda no-limit di Luigi e Matteo è la colonna sonora dell’anno. Ma Salvini, che doveva essere l’estremista, sul balcone di Palazzo Chigi, a sventolare la rivoluzione dell’«aboliamo la povertà», non è andato lui («Io queste piazzate non le faccio») ma l’altro. La piazzata vera c’era stata prima. Quando Berlusconi, durante le consultazioni al Colle, si lancia nella celebre gag: uno-due-tre con le dita mentre Matteo parla ai giornalisti, e in più le smorfie e la parodia dell’alleato-rivale che lo ha battuto nelle urne e gli ha rubato il posto nella tragicommedia. In cui Conte un po’ di spazio se lo ritaglierà (pare che stia simpatico a Trump) soprattutto in politica estera e così si sfoga con la Merkel in fuori onda: «Salvini litiga con tutti».
NO DONNE
Non è passato giorno in cui il mainstream giornalistico non abbia detto: «Cadono oggi o cadono domani?». «La nostra sarà una storia infinita», ribatte Salvini a proposito della sua coppia con Di Maio. Una curiosità: non si vedono le donne dei capi in quest’anno vissuto pericolosamente. Olivia Paladino, fascinosa compagna di Conte, è così sparita che forse – come la Isoardi di Matteo e la Virgulti di Di Maio – è già ex. Un po’ come la flat tax: chi l’ha vista? Sulle nomine nei grandi enti e aziende, però, tutto ok. Così come non si balbetta su Decreto sicurezza e semi-azzeramento degli sbarchi. Ma il Capitano finisce a processo. Anzi, no: e finisce in questo caso, ma solo in questo, con M5S che salva Salvini dai pm, il culto manettaro dei grillini.
Il Salvimaio un merito lo ha. Lo scontro con l’Europa – al netto di scivoloni e sciovinismi – impone comunque un principio: abbiamo sempre assecondato troppo gli altri, il nostro Paese si dia più coraggio nel contesto internazionale. Per farlo, l’Italia deve restare Italia. Dunque niente SpaccaItalia, cioè la legge sull’autonomia, contro cui gran parte del Paese si sta rivoltando. L’esito della battaglia non riguarda però questi 365 giorni ma, se ci saranno, i prossimi.