Business Insider, 1 marzo 2019
Di Maio ha ragione, Landini è un privilegiato
“Sui privilegi delle pensioni dei sindacalisti, Di Maio dice sciocchezze”. Il neo segretario della Cgil, Maurizio Landini, parte all’attacco del vice premier e ministro del Lavoro, ma scivola sulla sua prima buccia di banana. D’altra parte a fare i conti è stato l’Inps con l’operazione “Porte aperte” dalla quale emerge che i contributi versati dai sindacalisti valgono – in media – il 27%. Un esempio? Prendete due dipendenti della stessa azienda: il primo sviluppa tutta la propria carriera al proprio posto; il secondo dopo qualche anno inizia a dedicarsi al sindacato e ottiene il distacco; con gli stessi anni di contributi versati, il primo prenderà un assegno da mille euro mese, il secondo da 1.270 euro. Un bonus finanziato “della collettività dei lavoratori contribuenti” dell’ente previdenziale. In alcuni casi, però, l’assegno arriva fino al 66% in più di quanto spetterebbe a un lavoratore comune.
Manifestazione nazionale dei pensionati del sindacato SPI-CGIL a piazza del Popolo – foto di Mimmo Frassineti/AGF
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Quindi, quando Landini dice che il suo stipendio è pagato dagli iscritti alla Cgil dice la verità, ma quando parla di pensioni fa parecchia confusione e sembra dimenticare degli enormi vantaggi di cui lui stesso beneficia grazie al distacco. Peraltro Landini gode di privilegi ancora superiori perché ha iniziato a lavorare ben prima del 1993 e dopo cinque anni in fabbrica ha iniziato a dedicarsi al sindacato in distacco.
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“Abbiamo intenzione di intervenire sui privilegi di alcune categorie. Cominceremo con una circolare che interviene su quello che si sono concessi i sindacalisti” aveva detto all’inizio del 2017 l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri ricordando che “alla fine della loro carriera (i sindacalisti, ndr) hanno versato copiosamente contributi per rimpinguare la loro posizione previdenziale”, con l’effetto di aumentare l’importo della pensione percepita. Scaricando i costi del privilegio sull’intera collettività. Il provvedimento varato dall’Inps è, però, rimasto in un cassetto affossato dal Pd (proprio in quei mesi, peraltro, la Cgil si ammorbidiva molto nei confronti del Jobs Act).
Tito Boeri, ex presidente Inps
A far tornare d’attualità la questione è il Movimento 5 Stelle e la paura dei sindacalisti di vedersi ridotta la maxi pensione ha fatto gridare all’attentato alla libertà. Il punto ruota sul diritto – sacrosanto – dei rappresentati dei lavoratori in aspettativa non retribuita o in distacco sindacale (l’aspettativa retribuita utilizzata nel settore pubblico, ndr) a ricevere l’accredito dei contributi figurativi durante l’assenza dal loro impiego. Spesso, però, per lo stesso periodo vengono loro versati anche i contributi dal sindacato che, per i dipendenti del settore pubblico, vengono ancora valorizzati applicando le regole precedenti al 1993 (la pensione viene quindi calcolata sull’ultima retribuzione percepita).
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Certo i contributi figurativi “non comprendendo quegli emolumenti collegati all’effettiva prestazione lavorativa o condizionati da una determinata produttività, né incrementi retributivi o avanzamenti che non siano legati alla sola maturazione dell’anzianità di servizio”, ma è anche vero che “per compensi per attività sindacale non superiori alla retribuzione figurativa del lavoratore, l’organizzazione sindacale non paga mai alcun contributo” e che “i contributi sulla retribuzione figurativa del lavoratore sono a carico della gestione previdenziale di appartenenza, quindi della collettività dei lavoratori “contribuenti” della gestione”.
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Il versamento dei contributi aggiuntivi non incide su quando si può andare in pensione, ma ha riflessi importanti sul livello dell’assegno, in particolare per i dipendenti pubblici che si trovano nel regime misto o retributivo precedente alla riforma Fornero. “I periodi di contribuzione aggiuntiva – spiega l’Inps – vengono riconosciuti ai fini del calcolo della quota di pensione determinata per le anzianità maturate fino al 1992 (la cosiddetta quota A). La quota A di pensione è determinata sulla base della retribuzione percepita l’ultimo giorno di servizio ed è quindi soggetta a regole più generose rispetto a quelle applicate dal 1992 in poi per il calcolo della quota B di pensione, che considera la media delle retribuzioni percepite in un periodo di tempo più lungo”.
Tradotto: un versamento elevato di contribuzione aggiuntiva sull’ultima retribuzione incide in modo molto significativo sulla quota A, “facendo aumentare anche di molto la pensione complessiva dei sindacalisti del settore pubblico, cosa che non è possibile per tutti gli altri lavoratori”. Trasferendo la contribuzione aggiuntiva dei sindacalisti dalla quota A alla quota B, si assisterebbe a “una riduzione media dell’ordine del 27% sulla pensione lorda”. Nel frattempo, del costo del privilegio si fanno carico tutti gli italiani.