Corriere della Sera, 1 marzo 2019
Spaak: «Fui vittima degli attori bulli dell’armata Brancaleone»
«Quando sono venuta in Italia a lavorare nel cinema, ero convinta di trovare un ambiente aperto, libero, evoluto, come era in Francia, invece...». Catherine Spaak non ha un bel ricordo del nostro Paese alla metà degli anni Sessanta. Lo ha spiegato ieri ai microfoni di «I Lunatici», il format di Radio2, e adesso racconta quegli anni al Corriere: «Avevo girato “La voglia matta” con la regia di Luciano Salce, poi avevo ottenuto altri ruoli nei film di Dino Risi, Florestano Vancini, Pasquale Festa Campanile, Mauro Bolognini... ma il ricordo più brutto riguarda “L’armata Brancaleone” di Mario Monicelli. Sul set c’ero io, la sarta, la segretaria di produzione, poche donne... il resto erano solo uomini ed erano tutti attori importanti... io all’epoca ero ancora, si può dire, un’esordiente, poco più di una ragazzina. Non parlavo ancora molto bene l’italiano e, quando arrivavo presto nel luogo delle riprese, cominciavano a prendermi in giro, mi apostrofavano in maniera pesante... alcuni erano scatenati: vero e proprio bullismo». Perché era donna e francese? «Perché ero donna. Facevano di tutto per mettermi in imbarazzo e io mi sentivo fuori luogo, angosciata, ho memoria di un periodo difficile, una lavorazione del film tutt’altro che piacevole».
Eppure la storia raccontata nel film, uscito nel 1966, era divertente: protagonisti Vittorio Gassman, nel ruolo di Brancaleone da Norcia; Gian Maria Volonté, Teofilatto dei Leonzi; Enrico Maria Salerno, Zenone. «Non si respirava una bella atmosfera, come avrebbe dovuto essere – sottolinea Catherine —. E rammento un altro episodio: una sera, a fine riprese, non c’era la macchina che avrebbe dovuto riaccompagnarmi a casa, come sempre. Si era fatto tardi e venne chiesto a Gassman di darmi un passaggio, dato che lui aveva l’auto. Vittorio accetta, ma dall’espressione intuivo che forse non era molto contento di dovermi accompagnare, forse era seccato... Io salgo nella vettura piuttosto imbarazzata, mi restringo nel sedile, mi faccio piccola piccola per non dargli il minimo fastidio». E lui? «Zitto tutto il tempo del tragitto, non una parola, non un commento, non un sorriso o una battuta per farmi rilassare... Muto». E allora? «Io che potevo fare? Restai altrettanto muta, terrorizzata da quell’atteggiamento freddo, distaccato, ostile... e finalmente arriviamo sotto casa mia, si ferma davanti al portone. Tiro un sospiro di sollievo, apro lo sportello, sguscio fuori e lo richiudo con molta cautela: solo in quel momento, probabilmente mosso a pietà, o rendendosi conto che non era stato gentile, mi disse con tono sommesso: “Scusami”».
Solo bullismo sui set italiani o anche molestie? «Anche molestie, non gravissime, per carità, diciamo che mi sono capitate cose sgradevoli, ma io ne ho parlato molto prima del #MeToo, almeno vent’anni fa... e certe mie colleghe dell’epoca dissero: a noi non è mai successo niente, si vede che è successo solo a lei...». Dice Spaak che in Francia, a quel tempo, c’era più rispetto per le donne. «Una ragazza come me che, a 17-18 anni andava all’estero a lavorare, era ovviamente normale. Da noi si sognava di raggiungere la maggiore età per conquistare la patente di guida e prendere in affitto un appartamentino dove vivere da sola. In Italia una giovane donna che andava a stare da sola era scandalosa: nel mio condominio a Roma mi guardavano malissimo! D’altronde io ho subito molto peggio qui in Italia: ho perso l’affidamento di mia figlia perché nel ‘63 ero scappata con lei e venni arrestata dai carabinieri. La bambina fu affidata alla nonna paterna e lo sa qual era la motivazione del giudice?». Quale? «Essendo la madre un’attrice, quindi di dubbia moralità, non può tenere con sé la bambina. In altri termini, fare l’attrice equivaleva a fare la prostituta».