La Stampa, 1 marzo 2019
Quella cena a Parigi tra Majakovskij e Marinetti
Era già una matura signora la scrittrice, attrice e scultrice russa Lili Brik quando un giornalista la contattò per intervistarla a proposito dello storico incontro avvenuto il 20 giugno del 1925 in un ristorante parigino di rue Saint-Honoré: dopo 11 anni che non si vedevano si erano ritrovati i due grandi padri del futurismo russo e italiano, Vladimir Majakovskij - a cui Lili all’epoca era legata sentimentalmente - e Filippo Tomaso Marinetti. Lili liquidò il cronista con un generico «erano due rivoluzionari» anche se di quel rendez-vous conosceva ogni dettaglio che le era stato riferito da sua sorella Elsa Triolet. Proprio quest’ultima aveva combinato l’appuntamento tra i due scrittori più noti della letteratura mondiale durante il quale aveva svolto funzioni di interprete. Cosa si erano detti? Elsa non lo raccontò, Majakovskij nemmeno e neppure Marinetti, di solito assai loquace. Come mai tanto riserbo?
A ricostruire l’abboccamento tra i due avanguardisti è Gino Agnese, critico d’arte e biografo di Marinetti, in Marinetti Majakovskij. 1925 i segreti di un incontro (Rubbettino editore). Il saggista, con minuziose ricerche d’archivio, ripercorre questo vis-à-vis che fu al centro di una complicata trama occulta ordita dal russo Anatolij Vasil’evic Lunacarskij. Facendo leva su rivalità artistiche e amorose, il Commissario del Popolo per l’Istruzione, con la complicità della polizia segreta sovietica, tentò di convincere Marinetti a pronunciarsi pubblicamente a favore della Rivoluzione d’ottobre.
Un endorsement che avrebbe suscitato un grandissimo clamore e dato lustro all’Unione Sovietica. Ma tutto si risolse in un intrigo di cui a subire le conseguenze fu Majakovskij alla fine, da tempo bersaglio del potere stalinista.
Lunacarskij, per portare personalità di rilievo internazionale a tessere grandi elogi del governo di Mosca, si mise all’opera con Marinetti dal momento che il suo sodalizio con Mussolini attraversava un momento di crisi. Un anno prima, all’inaugurazione della XIV Biennale di Venezia, i carabinieri avevano trascinato via l’artista urlante che protestava per l’esclusione dei futuristi italiani (a bandirli dalla manifestazione era stata proprio la critica d’arte e amante del Duce Margherita Sarfatti). Lunacarskij, per avere più chances con Marinetti, pensò di far scendere in campo il noto scrittore georgiano che si trovava a Parigi. Ma Majakovskij tentennava ed era contrario. Perché doveva dialogare con il futurista legato al Capo del fascismo? Il ministro della Cultura tirò allora i fili di un intreccio erotico-sentimentale.
Lili aveva un gran peso nella vita di Majakovskij: lo aveva portato via alla sorella Elsa quando era un giovane poeta e lo aveva poi coinvolto nel ménage à trois con suo marito Osip Brik, che era al soldo della Ceka. Donna dai molti amori, la Brik frequentava intimamente anche Yakov Saulovich Agranov, il capo della feroce sezione «Operazioni segrete». Attraverso la filiera dei legami di letto e le pressioni degli spioni, Lunacarskij convinse Majakovskij a partecipare al fatidico pranzo. Gli fornì, addirittura, tramite la sorella di Lili, un foglio battuto a macchina su carta velina, ritrovato negli archivi sovietici, dove, spiega Agnese, erano dattiloscritte le domande per Marinetti: «È vero che scrittori futuristi d’Italia sono diventati collaboratori dei giornali fascisti, monarchici, cattolici?». È vero che «i proletari capiscono meglio il futurismo dei borghesi?». È vero che «l’organizzazione borghese è un ostacolo a ogni ulteriore sviluppo della civiltà?» e così via.
A scapito di tanti sforzi, però, il furbo Marinetti non concesse alcun pubblico apprezzamento al Cremlino. Ma nel 1926 il ministro della Cultura tornò all’attacco. Alla Biennale di Venezia, nonostante il rifiuto degli organizzatori italiani, venne allestita una mostra con le opere dei futuristi. In che modo? A Marinetti fu offerta la disponibilità del bellissimo padiglione russo. Mai vista una cosa del genere.
La cospirazione per garantire il transito da destra a sinistra del fondatore con Mussolini dei Fasci di Combattimento non andò comunque in porto. Invece le pressioni del governo sovietico, degli spioni, dell’amante e dell’ex fidanzata esercitate su Majakovskij a proposito dell’affaire-Marinetti costituirono un ulteriore vulnus sul rapporto assai compromesso dell’artista russo con lo stalinismo.
Anche in quell’occasione lo scrittore verificò le pastoie che lo tenevano avvinto e la scarsa libertà di scelta. Anni dopo, nel 1930, Majakovskij renderà testimonianza della sua sofferenza e delle ingiustizie subite, sparandosi al cuore e siglando così il suo addio: «Come si dice, / l’incidente è chiuso. / La vita ed io / siamo pari. / Non vale la pena di citare / le offese, / i dolori / e i torti reciproci».