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 2019  marzo 01 Venerdì calendario

Pagamenti in Bitcoin, così gli iraniani aggirano le sanzioni Usa

C’è una rivoluzione in corso nella Repubblica islamica dell’Iran, e non è quella degli ayatollah. Si tratta di quella dei giovani iraniani under 30 che sfidano la guerra economica di Donald Trump armati, non di un’ideologia, ma di una moneta digitale. 
Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare e l’imposizione di nuove sanzioni, la Repubblica islamica ha compiuto quarant’anni piegata dal peso di una gravissima crisi economica, ma con una popolazione composta più da millennial che mullah. 
Il valore della valuta locale, il Rial, è precipitato del 70 per cento in poco più di un anno, trascinandosi dietro i risparmi e le speranze di molti iraniani. Il continuo calo del potere di acquisto, ha già causato proteste a macchie di leopardo in tutto il Paese negli ultimi due anni. 
Eppure, malgrado la crescente disoccupazione e la disillusione nelle promesse di giustizia sociale, si sta formando una piccola ma crescente comunità di «cripto-entusiasti», che lavora alla costruzione di ponti virtuali per riconnettersi al mondo usando Bitcoin.
«Con le sanzioni è nata la necessità di trovare un mercato alternativo», racconta Soheil Nikzad, pioniere della criptovaluta e membro della Iran Blockchain Community. Un tempo disoccupato, Nikzad oggi fa fatica a rispondere alle richieste di consulenze, progetti e conferenze su come funziona la moneta elettronica.
La caratteristica prima degli scambi in criptovaluta è di permettere di aggirare le banche come intermediari nelle transazioni. E in un Paese come l’Iran dove le banche nazionali sono tagliate fuori dal circuito finanziario globale e quelle internazionali vivono sotto la minaccia delle sanzioni americane, la criptovaluta, difficile da tracciare, ha tutti i numeri per diventare il metodo di pagamento del futuro. E a Teheran se ne sono accorti. 
Il volume d’affari generato da queste transazioni è arrivato anche a toccare 10 milioni di dollari al giorno e in un anno sono spuntati 70 siti dedicati al business digitale. «Non ho mai visto una tecnologia svilupparsi così velocemente», racconta Hadi Nemati, 27 anni, imprenditore e consulente Blockchain. «L’Iran è il luogo perfetto. Abbiamo talento, fame, start-up, prodotti e servizi da vendere».
Sempre più genitori trasferiscono aiuti ai figli fuori sede e piccole e medie imprese si lasciano tentare da questa tecnologia. I ragazzi trovano inedite opportunità di lavoro sulla piazza internazionale - soprattutto nel campo digitale - con retribuzioni anche sei volte maggiori a quello che sarebbe lo stipendio pagato in moneta locale. «La criptovaluta non è solo un modo per sopravvivere, ma anche per crescere», dice Nikzad. 
Alla Banca centrale iraniana non è passato inosservato il potenziale della moneta e la settimana scorsa ha emesso la bozza di un quadro normativo che riconosce, pur con molte restrizioni, la legittimità della moneta elettronica. «Non ci sono governi o confini che possano bloccare la moneta digitale. Nessuno lo può fare, neanche Trump», dice Nikzam. Non è detto. Il Tesoro di Stato americano ha già gli occhi puntati su questo nuovo fronte virtuale della guerra contro Teheran e ha messo in guardia le piattaforme digitali che vogliono fornire servizi agli iraniani. «Il Tesoro perseguiterà aggressivamente l’Iran e altri stati canaglia che cercheranno di sfruttare la valuta digitale», ha dichiarato il dipartimento americano. A seguito di un caso di frode online, gli Stati Uniti hanno sanzionato due iraniani e colpito i loro «portafogli digitali» utilizzati per il commercio di Bitcoin. 
Ma questo non spegne l’entusiasmo che trapela nella voce dei sempre più numerosi membri della cripto-comunità iraniana, spinti dall’urgenza di riaprire, almeno virtualmente, quella porta verso il mondo che gli Stati Uniti hanno chiuso. «Siamo sempre stati isolati dal mondo finanziario globale, ma la criptovaluta ci rafforza, facendoci sentire di nuovo attori internazionali», dice Zyna Sadr, un altro cripto-entusiasta.