La Stampa, 1 marzo 2019
La mappa segreta dell’atomica coreana
In sostanza, il vertice di Hanoi è fallito perché Kim ha provato a fare il furbo. Secondo fonti ben informate, l’Intelligence americana ha individuato almeno due siti segreti, forse tre, dove la Corea del Nord produce materiali fissili utilizzabili per la costruzione di bombe atomiche. Quando Trump ha detto che li conosceva, e ha chiesto di chiuderli, il leader di Pyongyang è rimasto sorpreso e ha frenato. A quel punto è apparso chiaro che non era sinceramente pronto alla denuclearizzazione completa e verificabile del suo Paese, rendendo impossibile un accordo che portasse alla fine delle sanzioni economiche. Questo naturalmente non assolve il capo della Casa Bianca dai dubbi sul modo in cui ha preparato il vertice, basandolo sul buon rapporto personale costruito con Kim, ma dimostra che le preoccupazioni degli scettici sono fondate, e allontana la soluzione della crisi.
Il programma nucleare ufficiale di Pyongyang è noto da anni, e secondo le stime dell’Intelligence americana e internazionale ha portato alla costruzione di un numero di testate comprese fra 30 e 65. Il reattore di Yongbyon, centro originario delle operazioni che Kim si era detto disponibile a chiudere, si trova a circa 100 chilometri a Nord della capitale e produce circa 6 chili di plutonio all’anno, sufficienti alla costruzione di due bombe. Ciò che finora non è stato mai dichiarato, però, sarebbe assai più pericoloso. Fino al doppio, in termini di materiali utili a realizzare testate atomiche.
Già l’anno scorso, grosso modo in corrispondenza con il vertice di Singapore, il Center for Nonproliferation Studies del Middlebury Institute guidato da Jeffrey Lewis, ma anche David Albright dell’Institute for Science and International Security, avevano lanciato l’allarme per il sito di Kangson. Questa struttura si trova nella zona industriale di Chollima, vicina alla fabbrica di missili di Chamjin e a soli cinque chilometri da Pyongyang, nel quartiere di Mangyongdae dove era nato Kim Il-sung, fondatore della Corea del Nord e nonno dell’attuale leader. È costituita da un edificio unico lungo 50 metri e largo 110, che conterrebbe centrifughe capaci di produrre l’uranio-235, ossia quello arricchito utilizzabile per le bombe. La vicinanza all’autostrada che collega Pyungyang alla città portuale di Nampo, e alla fabbrica di missili di Chamjin, rende Kangson una località molto comoda, oltre che altamente simbolica. Secondo alcune stime, potrebbe avere una capacità produttiva doppia rispetto a quella di Yongbyon.
Grosso modo nello stesso periodo, il Center for International Security and Cooperation della Stanford University, la Jane’s Intelligence Review e il New York Times, avevano denunciato la costruzione di un nuovo reattore vicino a quello di Yongbyon, con la potenzialità di generare tra 25 e 30 megawatt di elettricità, cioè abbastanza per alimentare una piccola città. Secondo l’Institute for Science and International Security di Washington, questa struttura potrebbe produrre anche 20 chili di plutonio all’anno, ossia più del doppio di quella originaria. Fonti di intelligence sostengono che esiste anche un terzo impianto segreto, non così specificato, che serve allo stesso scopo.
Non è chiaro a quale di queste strutture si sia riferito Trump, ma il presidente ha ammesso pubblicamente di aver sollevato la questione durante i colloqui con Kim. Secondo il capo della Casa Bianca, il suo interlocutore «è rimasto piuttosto sorpreso dal fatto che conosciamo così bene il suo Paese», ma non se l’è sentita di fare promesse. Così ha dimostrato che non era pienamente sincero, quando aveva detto di essere pronto a denuclearizzare. Non solo perché non si è impegnato a distruggere questi impianti, ma anche perché se nel corso degli anni ha realizzato strutture segrete, non è detto che non torni a farlo dopo aver ottenuto la fine delle sanzioni attraverso l’accordo. Forse Trump è stato ingenuo ad accettare di venire ad Hanoi, senza aver prima chiarito le vere intenzioni di Kim, oppure questa era fin dal principio la sua strategia negoziale. Ora però per riprendere il dialogo, e non tornare alla tensioni che avevano portato sull’orlo dello scontro militare, servirà una svolta che includa anche i programmi segreti di riarmo.