il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2019
La caccia al fantasma di Totò
Non è vero ma ci crediamo. Totò, allegro fantasma, attraversa i muri.
Il principe Antonio de’ Curtis – tra i sommi della Commedia – da cinque anni a questa parte entra ed esce da palazzo San Giacomo, il municipio di Napoli.
Si degna di mostrarsi e una volta è perfino andato incontro ai passanti.
L’ultimo spettro municipale di cui si ha memoria è quello di cui ha parlato il sindaco Virginia Raggi. Le porte si chiudono da sole al Comune di Roma. Gianni Alemanno, nel 2011, convocò gli acchiappafantasmi. Pare si tratti di un tal frate avvistato nella sala della Musica, proprio sopra l’Aula Giulio Cesare.
Totò prende domicilio al Comune e torna fantasma in allegria.
Quattordici sono già i testimoni, tre si sono intrattenuti in conversazione con lui e Il Corriere del Mezzogiorno nell’edizione di ieri porta notizia dell’arrivo – prossimamente, verso la fine del mese – di Massimo Merendi, un cacciatore di fantasmi, che ha già approntato un dossier su Totò che cerca casa.
Non è vero ma c’è da crederci perché il fatto è inoppugnabile: è il 12 settembre scorso – sono le ore 22;00 – e un elegante spirito si aggira nei pressi del Maschio Angioino.
Eccolo.
Forse cammina, forse volteggia ma di certo incede quell’apparizione di grigio vestita.
Nelle fattezze di un uomo alto, giovane e distinto incrocia un turista, gli indica l’edificio comunale, si presenta e chiede: “Sono il principe de’ Curtis, questo è il palazzo San Giacomo?”.
Chi non crede non sa che è vero e il passante – non poco irrispettoso – invece di rispondere educatamente, domanda: “Lei è una controfigura di Totò?”.
Fa 48 il morto che parla e Anna Paola Merone, sul Corriere del Mezzogiorno, nel suo articolo riferisce dell’infastidito silenzio dell’illustre principe, dopodiché – onorando il palazzo di Città – l’ombra arrivata dall’aldilà, profferisce una lucente profezia: “Napoli sarà sempre più grande, la prima in Italia; diventerà la capitale di un regno”.
Invece che l’autonomia differenziata per la Campania, Totò già vede il ritorno al reame perché, insomma, signori si nasce – ci mancherebbe – e cos’altro si può sognare con Gelsomino di Santa Paola in arte Alberto di Torrefiorita, il figlio segreto di Pantaleo e di una cavallerizza da circo? È uno dei tanti ruoli di Totò ne L’Allegro fantasma, il film del 1941 dove i mobili si spostano, i candelabri si spengono e le zie zitelle scappano via terrorizzate.
Giammai il ridere e il morire sono agli antipodi, non fosse altro che si muore dal ridere con un lenzuolo addosso – con i fori all’altezza degli occhi – e così vedere l’effetto che fa.
La morte è la maschera messa a nudo: “Amo la notte”, dice Totò, “le strade vuote, morte, la campagna buia, con le ombre, i fruscii, le rane che fanno cra cra, l’eleganza tetra della notte”. E la comicità è il discorrere intorno al catafalco: “È la vita”, gli risponde Totò a Ferribotte in I Soliti ignoti, “oggi a te, domani a lui!”.
La morte riconosce nella risata il suo degno coronamento.
In 47 morto che parla (sarebbe il 48 nella Smorfia napoletana…) la messinscena impone allo spilorcio barone Antonio Peletti l’espiazione per la propria avarizia tra i trapassati – “senta che freschezza, sono un morto di giornata!” – ma l’Aldilà non lo esenta dal giudicare quel che c’è qua. Totò, infatti, in quello che crede l’Inferno incontra un conoscente con regolamentare sudario addosso e commenta: “Era un uomo così antipatico che dopo la sua morte i parenti chiesero il bis!”.
In Totò cerca casa, ritrovandosi custode del cimitero, il principe vive la sua gag al cardiopalma alle prese con lenzuola, un secchio di biacca che gli cola in volto e poi ancora – nel pallore lunare di una notte – un continuo capitombolo tra tombe, lapidi e fossi.
Appunto, l’eleganza tetra della notte: la famosa Livella.
Quella che ci fa, con Totò, tutti fantasmi.