il Giornale, 1 marzo 2019
Crescono i casalinghi in Italia
Se avrete mai il piacere di essere invitati a cena dal signor Fiorenzo Bresciani, sappiate che mangerete benissimo su una tavola splendidamente apparecchiata e in un appartamento pulito, ordinato e arredato con gusto. Tutta questa meraviglia non perché la moglie di Fiorenzo sia una perfetta casalinga, ma perché l’angelo del focolare di casa è proprio lui: Fiorenzo. La sua storia è quella di un uomo che ha superato abbondantemente di «anta» è che nel 2003 ha fondato l’AsUC, Associazione Uomini Casalinghi.
«Quando mi ritirai dal lavoro ed iniziai a svolgere mansioni casalinghe a tempo pieno – racconta Bresciano -, ebbi modo di incontrare molti uomini che condividevano la mia stessa esperienza. Così iniziai a contattarli e nel riunire insieme le nostre forze scoprimmo che non ci sentivamo più soli, perdendo quell’alone di mosche bianche che ci sentivamo addosso. Inoltre rimanendo uniti capimmo che avremmo potuto avere un peso sociale e un’influenza sul modo di pensare che nel nostro paese ancora fa fatica a decollare nel senso della vera parità. Semplicemente rivalutando la vita domestica come bene prezioso».
Sedici anni dopo quel fatidico 2003 la scommessa di Bresciani e delle centinaia di iscritti all’AsUC può ritenersi vinta. La dimostrazione viene dalle cifre, ufficializzate nel corso del primo congresso dei casalinghi che si è svolto recentemente a Sanremo: l’esercito degli uomini armati di grembiule e ramazza conta 22.600 «membri». Tutti regolarmente affiliati all’Inail, l’ente antinfortunistico che si occupa anche degli eventuali incidenti sul lavoro all’interno delle mura domestiche: «Ma il numero dei casalinghi sale a quasi 40 mila considerando anche coloro che non sono iscritti all’Inail». Standing ovation per il presidente Bresciani quando ha detto: «Siamo una realtà che sta crescendo così come le esigenze della famiglia, ma abbiamo un riconoscimento che è ancora superficiale, e quando diciamo di essere uomini casalinghi facciamo sorridere».
Bresciani rivendica con orgoglio un risultato di emancipazione culturale vissuta anche attraverso il riconoscimento burocratico della qualifica professionale di «casalingo»: «Quando nel 2003 fondai l’associazione, nello stesso periodo mi scadeva la carta di identità e dovetti andare all’ufficio anagrafe del mio Comune a rinnovarla. Alla domanda della segretaria sulla mia professione, risposi casalingo. Lei rimase bloccata e poi alzò lo sguardo dicendomi: Disoccupato?. Risposi: Non disoccupato. Se lei fai i lavori in casa, vedrà che disoccupati non lo siamo mai. Lei mi guardò di nuovo e mi disse che sul computer non c’era questa dicitura ovvero c’era casalinga ma non casalingo. Dopo una discussione di una mattinata, alla fine riuscimmo ad inserire questa nuova dicitura che oggi riportano i computer di molti Comuni italiani».
Ma la qualifica ufficiale di «casalingo» vorrebbe dire poco, se non fosse accompagnata pure da uno status contributivo-pensionistico che ne certifichi a tutti gli effetti la sua valenza di lavoro autonomo. E qui vado atto all’Inps di aver previsto, fin dal 1997, un fondo (mai però adeguatamente reso noto al pubblico) riservato a «uomini e donne che svolgono attività casalinghe». Possono accedervi «tutti coloro che non svolgono attività professionali e che versano i contributi nel fondo casalingo»; essi «potranno avere acceso alla pensione di vecchia o di invalidità per via dello svolgimento di lavori non retribuiti nell’ambito della propria famiglia». Importate: «La pensione per casalinghe e casalinghi verrà riconosciuta a partire dai 57 anni solo se si sono versati contributi per almeno 5 anni, non si percepisce già un’altra pensione e non si svolge altra attività esterna retribuito». E ora tutti a casa. A lavorare. Sognando la pensione.