Il Messaggero, 1 marzo 2019
«Insegniamo il latino ai cinesi». Intervista a Giorgio Piras
La Sapienza batte Oxford, Sorbonne e Harvard negli studi classici. Lo conferma (per il secondo anno consecutivo) l’indagine QS World University Rankings by Subject, vale a dire la classifica delle università di tutto il mondo.
Giorgio Piras, direttore del Dipartimento scienze dell’Antichità della Sapienza, quanto conta essere a Roma?
«Molto. Non ci dobbiamo stupire dell’esito di questo ranking, gli stranieri per primi lo ritengono naturale. Viviamo in una città come Roma, ne studiamo e teniamo vive le tradizioni. E molti stranieri guardano a noi».
Avete particolari progetti internazionali in corso?
«Stiamo firmando, per esempio, un accordo con l’università di Pechino per l’insegnamento dei classics. Ce l’hanno chiesto in particolar modo per il latino, per lo scambio di docenti e studenti. Da parte dei cinesi c’è un interesse molto deciso e ci hanno chiesto una collaborazione importante per l’insegnamento di questa lingua».
Una lingua assolutamente non morta.
«Più viva che mai, direi. Un successo che non t’aspetteresti mai. Eppure ricorrono dibattiti, discussioni, best seller, interventi pubblici. Addirittura il cinema, ora, con il film Il primo Re. Ma non ci sono solo i cinesi, in realtà».
A quale altro paese insegnate il latino?
«Abbiamo trattative in corso per progetti di scambio docenti in Canada e nel Nord degli Stati Uniti. E per i classics altre università importanti di cui siamo riferimento sono in Scozia e in Francia».
E in Italia?
«Un’altra iniziativa che ci vede protagonista riguarda la certificazione linguistica sul latino».
Un po’ come per gli attestati della lingua inglese. In cosa consiste?
«I licei in varie regioni d’Italia ci chiedono la certificazione come garanzia di conoscenza della lingua latina. Noi organizziamo test cui partecipano le classi di studenti. Poi vedremo come spenderanno tutto ciò, ma intanto è una spia di interesse».
Perché la Sapienza è al top, in cosa si distingue?
«La tradizione antica su questi studi. Con docenti illustri nei vari decenni. Che hanno tenuto vive discipline e scuole».
Qual è oggi il senso di uno studio classico?
«La cultura classica permea profondamente la società italiana. Anche l’ambiente e il paesaggio stessi. Viene facile pensare a Roma, all’architettura, alla storia dell’arte. Ma non solo. Anche la lingua italiana è ricca di influenze greco-latine e il paesaggio è profondamente influenzato dai valori della classicità. L’equilibrio, l’armonia. Le strade sono state fatte dai romani, le città sono state costruite su modelli antichi. È un riconoscimento delle radici della tradizione della cultura italiana».
Dopo il trionfo del 2018, gli iscritti negli studi classici sono aumentati alla Sapienza del 30 per cento. Di quanti studenti parliamo?
«Abbiamo circa 130, 150 immatricolati l’anno. Un corso di laurea come il nostro, di lettere classiche, ha numeri che ci consente di essere vicini al loro percorso».
Perché oggi si fanno ancora studi classici? Lo studio ripaga?
«Senz’altro. È uno studio serio, approfondito: il mondo classico offre una vastità di discipline, specializzazioni e una profondità di studio che può essere molto proficuo».
Cosa intende per proficuo? Gli studi classici hanno un’applicabilità concreta, oggi, nel mondo del lavoro?
«Molti studenti puntano al percorso dell’insegnamento così come della ricerca in ambito universitario. Nella gestione delle imprese culturali trovano spesso occupazione. Ma questa profondità di studi scientifici permette di trovare anche impiego in attività lavorative che sono lontane dalle discipline classiche, perché questi studenti hanno duttilità, capacità di organizzazione e adattamento notevoli».
Nel terzo millennio, nell’era digitale, della tecnologia, la classicità come sopravvive?
«Ma guardi che noi utilizziamo ampiamente tecnologie nella didattica e nella ricerca. Sono piani che si incontrano».
La struttura della Sapienza, oggi, è all’altezza di questo primato?
«Ci sono delle sofferenze. Continua ad essere la più grande università d’Europa per numero di studenti. La città universitaria è stata inaugurata nel 1935, necessità di manutenzione particolari».
Il tema delle risorse alle università è sempre caldo.
«Il finanziamento generale sul sistema universitario italiano non è adeguato al ruolo, soprattutto in rapporto ai meriti e risultati scientifici. Nell’ultimo decennio ha subito un calo di risorse di almeno il 20 per cento. Quindi questo si riflette anche sulla Sapienza. Il fondo di finanziamento ordinario dell’università italiana è di 8 miliardi di euro. Troppo poco».