ItaliaOggi, 1 marzo 2019
In Italia è scoppiata la querelite endemica: spesso costa molto meno ammazzare un cristiano che non soccombere a una querela
La querelite, malattia dei nostri tempi, presenta aspetti preoccupanti. La puoi leggere come pandemia ovvero crasi di querela e lite, una mania di attaccar rissa per poi denunciarsi tutti forsennatamente, in fila per tre col resto di due: il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, viene denunciato e condannato per aver dato del «cretino col botto» al direttore del Fatto, Marco Travaglio, il quale, a sua volta, viene denunciato in diretta da Matteo Renzi, il quale a sua volta deve guardarsi da un preavviso di querela di chissà chi (perché ormai si dà il preavviso, tipo lancio del guanto, ci vediamo dietro al convento delle Carmelitane Scalze all’alba, porta i padrini), e così via, come nella «Fiera dell’Est» di Angelo Branduardi), in un effetto domino che finisce per intasare ulteriormente i tribunali: dopodiché, tutti a lamentarsi per le lungaggini dei procedimenti.L’articolo in cui Sallusti attaccava Travaglio risale a 7 anni fa: in sette anni un uomo può imbiancare, perdere i capelli, perdere l’amore, riempirsi di rughe, cambiare sesso, figuriamoci opinioni, mentalità, militanze: ma le parole sono pietre, restano e la condanna per Sallusti, tra l’altro, non è lieve: multa di 700 euro, in sé ridicola, cui però si aggiunge il risarcimento del danno di 18 mila euro, più quello di 6 mila euro di riparazione pecuniaria ex art. 12, più gli interessi legali dalla sentenza fino al saldo, più la rifusione di 5.600 euro di spese legali, più Iva e accessori di legge. Ad ammazzare un cristiano si sconta di meno.
Ma, siccome la querelite è una malattia che ricorda il casinò, una volta si perde un’altra (forse) si vince, tutti ci danno dentro a più non posso, specialmente tra giornalisti, che sembrano manifestare una attitudine compulsiva e anche discretamente immemore. Sarà che i giornalisti ormai si percepiscono come gente di spettacolo e come tali si sentono in dovere di fare i comici, i satirici, i sarcastici, sta di fatto che chi si diverte a sfottere o sformare chiunque, reagisce appena ripagato della stessa moneta: io nel tuo giardino posso maramaldeggiare, ma tu nel mio non puoi. Pensare al povero Giuliano Ferrara, che da una vita si sente dare del «Platinette barbuto», del mastodonte, e ha finito per firmarsi come «l’elefantino» e adottare un nome autoironico e disarmante su Twitter, «Ferrara il grasso».
Insomma fanno, facciamo tutti gli spiritosi ma a forza di fare gli spiritosi qualche collega non gradisce: aveva finito lo spirito. Ben piazzati nella classifica dei querelomani anche politici, vip a vario titolo, personaggi del gossip o comunque in vista; con qualche effetto in prospettiva allarmante come nel caso, invero surreale, della conduttrice e animalista Daniela Martani, ritrovatasi denunciata dal comico Luca Bizzarri, del duo «Luca e Paolo», per avere condiviso un meme che lo riguardava. Il meme, in pratica, consiste in una elaborazione fotografica con un commento ironico o paradossale, e rappresenta il sale della rete, qualcosa di creato apposta per «girare», essere trasmesso o, come si dice in gergo, condiviso: cosa sarebbero le irresistibili, dissacranti chiose di «le frasi di Osho» senza le condivisioni a migliaia?
Ebbene, la Martani non solo è stata denunciata da Bizzarri per un meme riferito ad una querelle tra animalisti (con sotto un insulto infantile, trascurabile), non elaborato da lei ma semplicemente ritrasmesso su Twitter tre anni fa (sic!), ma addirittura si è ritrovata condannata senza processo, con un decreto penale di condanna del quale ha appreso solo a cose fatte. Ne ha dato notizia lei stessa con un lungo comunicato sui suoi profili social, non privo di qualche spunto che meriterebbe un confronto comune: «Bizzarri sui registri della satira e del sarcasmo ha costruito la sua carriera artistica, salvo non tollerare, a quanto pare, che le stesse armi vengano rivolte contro se stesso», scrive la conduttrice. E ancora: «La vicenda mi pare travalichi abbondantemente il mio caso personale: se si rischia una condanna praticamente automatica per avere condiviso un meme, che fine fa, la tanto decantata libertà di espressione in rete? Non conviene, a questo punto, chiudere la rete, come nei regimi totalitari? E la misura, in caso, varrà anche per gli addetti all’informazione, che sempre più spesso, e in modo compulsivo, raccolgono ogni giorno i mille meme disseminati nella rete e a loro volta li divulgano, non fosse altro che per commentarli o per imbastirci sopra articoli e informazioni? Lo chiedo sia ai giudici che, direttamente, allo stesso Luca Bizzarri, che forse, dopo tanto tempo, neppure si ricorda di avermi denunciato, senza calcolare la portata di una reazione eccessiva, spropositata, e, in potenza, pericolosa per la democrazia«.
Come a dire: ragazzi, diamoci tutti una regolata e magari prendiamoci meno sul serio, non mettiamola giù così dura. Altrimenti, i primi a soffocare la tanto decantata libertà (anche di sfotterci), siamo noi. Tutti noi.