Laura, perché hai cominciato?
«Forse perché ero troppo brava ma troppo sola? Forse perché mia madre beveva? La verità è che a 12 anni ero in una scuola dove mi sentivo a disagio».
Racconta.
«A Bolzano abitavamo in un quartiere periferico. Le elementari le avevo frequentate lì, ma alle medie, visto il mio profitto, mio padre aveva deciso spostarmi in una scuola migliore, in un ambiente, diceva lui, più scelto».
E non ti sei sentita accettata?
«No. Ero la prima della classe, ma nessuno cercava la mia amicizia.
Così sono entrata in un giro diverso. Nel mio nuovo gruppo a 12 anni giravano le canne».
Com’è la tua famiglia?
«Vuoi dire com’era, visto che adesso, dopo aver visto prima la mia rovina, poi la mia rinascita grazie a San Patrigano, anche loro sono cambiati».
Una famiglia difficile?
«Economicamente siamo sempre stati bene, ma dopo la nascita del mio fratellino, mia madre ha avuto una depressione e ha inziato a bere».
La vedevi ubriaca?
«Tornavo a casa e la trovavo addormentata, per terra, accanto al tetrapack del vino. Mio padre cercava di occuparsi di tutto, ma i litigi erano continui. Il matrimonio è franato».
Chi badava a te?
«Nessuno. Andavo bene a scuola, mia madre era ubriaca e mio padre non chiedeva altro. Ero bravissima a pallavolo, ma i miei genitori mon sono mai venuti a vedere una partita».
Quindi la tua famiglia erano gli amici con cui fumavi?
«Ci sballavamo insieme, dire amici è troppo. In quei giri basta avere un po’ di fumo e sei al centro dell’attenzione. Per questo i ragazzini fumano. Robaccia. Erba sintetica, hashish tagliato. Cose che prendono il cervello, ne vuoi sempre di più».
Fumavi anche da sola?
«Sì, in continuazione. Mio padre era andato via di casa, mia madre si era fidanzata con un tipo che si faceva le canne anche lui».
Intanto avevi finito la scuola media.
«Con il massimo dei voti».
E tuo padre?
«Non mi parlava, perché mi ero ubriacata insieme a un ragazzo ed ero stata ricoverata in ospedale».
Vai al liceo.
«Il linguistico, la mia passione. Parlo inglese, francese e tedesco. Mia madre è assente, mio padre lontano. Nessuno mi chiede mai “come stai, Laura”. Andavo bene a scuola e questo bastava. Facevo quello che volevo. Una sera, a casa di un’amica, due ragazzi mi fanno provare la cocaina. Mi piace. Mi sentivo importante. Invece avrei voluto delle regole».
Qualcuno che ti chiedesse cosa facevi e dove andavi?
«Sì, dei genitori-genitori. Avrei voluto una madre che mi dicesse che la droga è uno schifo e un padre davvero interessato a me».
C’erano periodi in cui non prendevi droghe?
«No. Avevo sempre bisogno di qualcosa per sentirmi bene. E poi mi innamoro di un ragazzo marocchino».
Si drogava?
«Usava eroina. L’ho voluta provare anch’io».
Perché?
«Per curiosità, per amore. Perché quando entri in un girone tossico vuoi sempre di più. Tutto è facile da trovare, costa niente. Ho iniziato a fumare eroina tutti i giorni. Sono diventata una tossica».
Com’era la tua giornata?
«Mi alzavo e fumavo eroina prima di andare a scuola. Uscivo e andavo al parchetto a cercare una dose. Poi stavo tutto il pomeriggio buttata su una panchina. Con il mio ragazzo e i suoi amici. Tutti fatti. Sempre. Uno di loro è morto, gli altri sono in carcere. Rubavo in casa, non mi lavavo più, puzzavo, a scuola tremavo, mi addormentavo. Eppure, stranamente, nessuno ha avvertito la mia famiglia».
Pensavi di essere felice?
«Non pensavo».
Poi ti hanno scoperta.
«Mia madre si è accorta che svuotavo il suo bancomat. Mi hanno imposto la disintossicazione. Avevo 14 anni e per fare l’astinenza mi hanno ricoverato in pediatria. Poi la prima comunità. Da cui però scappavo in continuazione».
Quando sei arrivata a San Patrignano?
«Un anno e nove mesi fa. Il mio percorso è ancora lungo. All’inizio volevo scappare, le regole sono dure. Ma ho guardato dentro il mio cuore. Ho lottato con tutte le mie forze contro la dipendenza. Ho ritrovato i miei sogni, una comunità che si è presa cura di me. Ce la farò, lo so».
Cosa diresti ai tuoi coetanei che sperimentano le droghe?
«Non lo fate. Avete tutto da perdere».