ItaliaOggi, 28 febbraio 2019
Dalì semina sculture tra i Sassi
A Matera, capitale europea della cultura, è arrivato Salvador Dalì. Con la sua cultura trasgressiva e surreale, aggressiva e sognante. Si tratta di una mostra, intitolata «La persistenza degli opposti» (sino al 31 dicembre; ore 10-18), ubicata presso due stupende chiese rupestri della città dei Sassi, purtroppo per secoli adibite anche a usi profani, ma ora ricondotte al primitivo splendore da abili restauri.Una parte degli oggetti esposti si trova presso la Chiesa rupestre della Madonna delle virtù, un capolavoro eretto nel IX secolo in stile romanico. Con adiacente il monastero delle monache palestinesi. Altri oggetti si possono vedere nella Chiesa di S. Nicola dei Greci. Oltre 150 opere (sculture e pitture, illustrazioni, opere in vetro e in ceramica, arredi, lettere, foto) che presentano tutti gli aspetti del grande pittore surrealista.
Non che ci siano molti capolavori di grandi dimensioni, ma le testimonianze esposte sono divise in quattro sezioni tematiche (il tempo millenario e fugace, l’involucro duro e il contenuto molle, la dialettica tra religione e scienza, la metamorfosi del reale in surreale), che consentono una visione completa dell’itinerario artistico di Salvatore: l’influenza di De Chirico e Picasso, l’amicizia con García Lorca e Luis Buñuel, l’amore surreale per la moglie e musa Elena Dmitrievna Gala, i violenti rapporti col surrealismo di Breton, l’esperienza cinematografica di Un cane andaluso e de L’età d’oro, la simpatia per Hitler e il periodo americano, gli anni del successo e del trionfo.
Ma l’aspetto più affascinante della mostra non è dentro le chiese, ma fuori, in mezzo alla città paleolitica. Si tratta di tre grandi sculture, collocate nel pieno dei «sassi» in vie e piazza. Chi percorre l’itinerario di visita della città le incontra e ne rimane stupito ed entusiasta.
Non si tratta certo della prima esposizione in via delle sculture di Dalì. Molte altre città l’avevano già fatto (Firenze, Catania, Bologna, Pietrasanta), ora tocca a Matera: un accostamento perfettamente riuscito tra i sassi preistorici e le sculture immaginifiche e postmoderne.
C’è il gigantesco Elefante spaziale, un’opera del 1980 in bronzo, alta 754 centimetri. Gli elefanti surrealistici hanno accompagnato Dalì dal 1946, quando a New York dipinse il quadro Le tentazioni di Sant’Antonio, un capolavoro ora custodito nel Musée des Beaux-Arts di Bruxelles. Il Santo si difende col crocifisso da un cavallo impazzito e da quattro elefanti mostruosi, animali che simboleggiano il potere in tutte le sue forme lussuriose e demoniache: bellezza, arte, danaro, piacere.
Più tardi Dalì tradusse alcuni elefanti in grandi sculture (ma anche piccole da tavolo). In quello ora a Matera l’elefante, con le gambe esili e storte che collegano il cielo e la terra, rappresenta la distorsione dello spazio. Sulla schiena reca un alto obelisco, probabilmente allusione al progresso tecnologico. Ma ancor più ricordo dell’obelisco di Bernini sull’elefante, che si trova a Roma nella piazza di Santa Maria di Minerva.
Molto onirica la seconda scultura: Il pianoforte surrealista. Ideato nel 1954 e fuso in bronzo nel 1984 (249 centimetri). Il pianoforte a coda, nel suo classico nero, è retto da tre gambe di donna che ballano, seducenti ed erotiche, racchiuse in stimolanti pizzi; il piano sorregge una elegante figura alata femminile, con le braccia aperte e tese verso il cielo. Donna e musica sono una sola cosa.
Più nota e ammirata la terza scultura, definita da diversi nomi: La danza del tempo, L’orologio disciolto, La persistenza della memoria. Si tratta del famoso orologio contorto e distorto che troviamo in molti quadri di Dalì. Il pittore non amava gli orologi: «L’oggetto meccanico sarebbe diventato il mio peggiore nemico, ecco perché gli orologi devono essere molli o non essere affatto».
Dalì rifiuta il tempo meccanico della scienza, quello «spazializzato e quantificabile, omogeneo e irreversibile». Il suo tempo è invece quello di Bergson e Proust, un «tempo di coscienza pura», che può essere sospeso sino a farsi eternità ed essere continuamente rievocato nella memoria. Questo suo odio per il tempo degli orologi scientifici si è tradotto in moltissimi quadri, fra i quali il più famoso è quello del 1931 intitolato La persistenza della memoria (ora al Museum of Modern Art di New York).
Dalì aveva intitolato questo suo olio su tela Gli orologi molli (si dice che avesse quella sera avesse mangiato e apprezzato il formaggio Camembert). Nella pittura di orologi ce ne sono quattro, tutti torturati e disciolti, uno ricoperto di formiche nere. È stato uno dei suoi più grandi successi, più volte ripetuto e tradotto anche in serie di badget artistici.