il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2019
Il resto della Ue ha più detenuti di noi
Da giorni imperversa una polemica che vede uniti parlamentari di Forza Italia, il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza e alcuni giornali come Il Foglio, per una intervista di Piercamillo Davigo, attuale consigliere del Csm, al quotidiano La Stampa di sabato scorso.
Le frasi definite “agghiaccianti”, per esempio da Caiazza, riguardano i detenuti. Al giornalista che gli chiede se in Italia non si arresti troppo, Davigo ha risposto: “Tutt’altro, in galera ci vanno in pochi e ci stanno poco. Crescono solo gli arresti in flagranza di reato e quelli per terrorismo e mafia”. E ancora: “Oggi conviene delinquere, non pagare i debiti, impugnare le condanne. Non si ha niente da perdere. Invece, bisogna incentivare i comportamenti virtuosi”. L’avvocato Caiazza ha accusato Davigo di aver perso “il senso della misura delle cose: le carceri sono sovraffollate oltre ogni limite di tollerabilità”.
La piaga del sovraffollamento delle carceri fa parte ormai delle convinzioni generali di ciascuno di noi. Ma al netto dei problemi di singoli penitenziari, delle condizioni fatiscenti e inaccettabili di molte carceri dove magari manca l’acqua, il cibo è immangiabile, non ci sono spazi ricreativi e possibili attività per la doverosa rieducazione del detenuto che deve scontare la pena, il sovraffollamento complessivo è, di fatto, per usare un gergo molto di moda, una fake news. E sono i parametri della Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu), che in pochi conoscono, a smentire quella che è una convinzione solida come una roccia.
Sono due studiosi del settore, Alessandro Albano e Francesco Picozzi a illuminarci su come stiano davvero le cose. Scrivono sul sito Personaedanno, nel 2016: “Nel nostro Paese, in mancanza di qualsiasi norma sul punto, la ‘capienza regolamentare’ complessiva del sistema penitenziario – che viene comunicata ufficialmente dal ministero della Giustizia – è determinata in base a una prassi amministrativa che prevede 9 mq per una cella singola, più 5 mq per ogni ulteriore detenuto (ad es. 14 mq per due reclusi, 19 mq per tre). Tale capacità ricettiva è oggi pari a quasi 50.000 posti”. Proprio per questi parametri italiani, lodevolmente più severi rispetto a quelli della Cedu, che vedremo in seguito, c’è molta confusione. Albano e Picozzi fanno l’esempio di Wikipedia alla voce carceri italiane: “Si afferma che i dati ministeriali non rappresenterebbero la ‘capienza regolamentare’, ma la ‘capienza massima tollerabile’ del sistema penitenziario e si aggiunge che la ‘vera’ capienza regolamentare sarebbe pari all’incirca alla metà dei numeri ufficiali. Insomma, applicando questo errato ragionamento, con le cifre attuali si dovrebbe concludere che la capienza regolamentare complessiva delle carceri italiane sia di circa 25.000 posti. La realtà – spiegano Albano e Picozzi – è ben diversa e assai più positiva per il nostro Paese. L’Italia, infatti, calcola la sua ‘capienza regolamentare’ (l’unica oggi indicata nelle statistiche ministeriali, non usandosi da tempo il riferimento alla capienza tollerabile) secondo gli standard sopra descritti (9 mq + 5 mq), i quali sono evidentemente più elevati non solo rispetto a quelli minimi e inderogabili sanciti dalla Cedu, ma anche del CPT”, ovvero il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti Inumani o Degradanti. Il Cpt ha prodotto a fine 2015 un documento in cui invita, non avendo poteri vincolanti, gli Stati membri del Consiglio d’Europa ad adottare parametri più civili per le celle dei detenuti: 6 mq per una singola a cui vanno aggiunti 4 mq per ogni detenuto in più, a cui va aggiunta la zona bagno. Ma è solo la Cedu a poter condannare gli Stati per violazioni della Convenzione. Scrivono ancora Albano e Picozzi che “la Corte di Strasburgo esprime la prevalente tendenza a considerare 3 mq di spazio detentivo pro capite come una soglia, al di sotto della quale, il sovraffollamento della cella può costituire una forte presunzione di violazione dei diritti umani”. Quindi, una soglia ben al di sotto di quella italiana.
Va, però, ricordato che l’Italia, nel 2013, fu condannata dalla Cedu per condizioni degradanti, che avevano a che fare anche con lo spazio ristretto delle celle, dopo il ricorso di alcuni detenuti. Da allora, però, non ci sono state più condanne, anzi nel 2016 l’Italia ha superato positivamente la procedura a livello europeo di valutazione dell’attuazione delle raccomandazioni della Cedu, che aveva indicato nella sentenza di condanna di tre anni prima. Anche con i numeri attuali per l’Italia la bilancia pende un po’ più dal lato positivo, ma c’è ancora da migliorare. Secondo dati del ministero della Giustizia aggiornati al 31 gennaio 2019, i detenuti sono 60.125 contro una capienza di 50.550. Un dato questo, va ribadito, dettato dai nostri parametri e non da quelli minimi della Cedu o di tanti altri Paesi europei.
Quanto al numero dei detenuti in proporzione alla popolazione, l’Italia ne ha meno rispetto a Paesi simili. Secondo la statistica del Consiglio d’Europa del 2016, l’Inghilterra e il Galles insieme hanno “146.4” detenuti per ogni 100 mila abitanti, il Portogallo “133.2”, la Spagna “130.7”, il Lussemburgo “122.3”, la Francia “102.6”, l’Italia “89.3”.