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 2019  febbraio 28 Giovedì calendario

Le telecamere-detective che identificano i ladri

Se l’introduzione dell’esame del Dna al fine di individuare l’“impronta genetica” pochi decenni fa ha segnato una rivoluzione nell’ambito delle investigzioni e delle scienze forensi, consentendo di giungere alla soluzione di complessi e irrisolti casi di omicidi o violenze sessuali, oggi il Sari, Sistema Automatico di Riconoscimento Immagini, che ricostruisce l’“impronta facciale” e già usato dalle forze di polizia, è l’invenzione destinata a mettere finalmente k.o. la piccola criminalità e non solo quella. Il sofisticato software è attivo in diverse questure d’Italia dal 28 settembre 2018 e integra la strumentazione scientifica in dotazione della polizia. E cominciano ad arrivare i risultati. Il ricorso a questa tecnologia per il riconoscimento facciale, che riproduce il viso di un individuo mediante algoritmi, ha permesso fin da subito di assicurare alla giustizia diversi delinquenti, come i due georgiani fermati dalla polizia di Brescia a settembre scorso, sospettati di avere messo a segno alcuni furti in abitazione nella provincia lombarda, o l’uomo reo di avere aggredito una giovane a Como lo scorso ottobre.

IL CASO DI IMOLA
Le ultime ad essere state incastrate da codesto strumento sono state due ladre, di 22 e 57 anni, le quali ad Imola in questi giorni sono state denunciate a piede libero per furto aggravato in concorso, ricettazione ed indebito utilizzo di carte di credito. I fatti risalgono al periodo natalizio, quando una signora imolese di mezza età si è recata in un negozio di abbigliamento di un centro commerciale e, mentre era intenta a fare le sue compere, ha notato di essere accerchiata da due losche figure, dalle quali si è subito allontanata. Ma era già troppo tardi: poco dopo, alla cassa, la cinquantenne si è accorta di essere stata derubata del suo portafogli. Nel giro di pochi minuti le ladre hanno prelevato dal bancomat 600 euro attraverso la carta della vittima che soleva tenere il codice per abilitare il ritiro del contante proprio nel portafoglio. Subito dopo la denuncia gli agenti della squadra anticrimine di Imola ed i colleghi della poliIa scientifica hanno avviato accurate indagini volte all’individuazione degli autori del crimine. Ci sono voluti due mesi per arrivare alla loro identificazione attraverso il ricorso al Sari. Insomma, le riprese delle telecamere di video sorveglianza in cui appaiono le due donne sono state confrontate con immagini degli individui fotosegnalati presenti negli archivi nazionali della polizia finché non si è risaliti ad una malvivente senza fissa dimora già nota agli inquirenti proprio per reati simili a quelli messi a segno ad Imola. E da lei si è poi giunti al fermo anche della sua complice. Al riconoscimento facciale di Sari è seguito quello da parte della vittima, che ha confermato che i due soggetti che a dicembre l’avevano incalzata sottraendole ciò che aveva nella borsetta erano proprio quelli appena tratti in arresto.

PRIVACY E POLEMICHE
Bisogna sottolineare che il riconoscimento facciale di Sari non costituisce prova processuale. Tuttavia, esso agevola di molto il lavoro degli inquirenti, i quali devono eseguire poi successivi approfondimenti tra cui la conferma da parte di chi ha subito il crimine. L’avvento di Sari ha sollevato non poche polemiche. Molti ritengono che questa metodologia leda la privacy dei cittadini e possa anche indurre in errore le forze di polizia le quali potrebbero, qualora Sari si sbagliasse, interrogare e fermare poveri innocenti. Altri si indignano per il fatto che sia così facile finire immortalati dalle videocamere sparse su tutto il territorio nazionale. Del resto, si sa che oramai viviamo tutti all’interno di una sorta di Grande Fratello e che i primi strumenti che ci localizzano ovunque sono proprio i nostri amati smartphone e a caricarli di informazioni condivise sulla nostra quotidianità siamo noi stessi. Se il prezzo per stare più al sicuro è quello di finire fotografati non solo sui social network, ben venga. Sarebbe più spiacevole essere stuprati, scippati, aggrediti e malmenati e non sentirsi mai rassicurati da queste parole: «Stia tranquillo, abbiamo acciuffato chi le ha fatto tanto male!». Nonché vivere nel terrore costante di ritrovarci di nuovo nelle grinfie del nostro aguzzino.