Il Messaggero, 28 febbraio 2019
Diabolik, il vero giallo del fumettista svanito
Due belle donne, signore dell’alta borghesia milanese, che ingaggiano un detective privato per risolvere il mistero della sparizione di un uomo. Anzi ne ingaggiano due, dopo che il primo, il celebre Tom Ponzi, non era riuscito a far luce sulla vicenda. Affonda le radici in un vero giallo, quello della sparizione del disegnatore Angelo Zarcone, Diabolik sono io, il film di Giancarlo Soldi, parte documentario e parte fiction, nelle sale l’11, 12 e 13 marzo. Di Zarcone, interpretato nel film da Luciano Scarpa, si sa pochissimo. Era soprannominato il tedesco, aveva circa trent’anni quando disegnò il primo numero di Diabolik e forse aveva un figlio, un bambino biondo che ogni tanto lo accompagnava a consegnare le tavole – sempre in ritardo – alla casa editrice, la Astorina. «Ma è più probabile che quello non fosse suo figlio – sostiene Soldi, documentarista e appassionato di fumetti – perché si sarebbe fatto vivo. Con quello che vale il primo numero, oggi, avrebbe più di una ragione per uscire allo scoperto».
IL MITO
Quel mitico numero uno, disegnato da Zarcone e pensato, scritto e firmato nel novembre 1962 dalle sorelle Angela e Luciana Giussani, valeva un milione di lire negli Anni ’80, quando le stesse autrici lo ricomprarono all’asta. Nessuno, dopo quel primo lavoro, rivide più Zarcone. Sparito nel nulla dopo aver consegnato, non si presentò nemmeno quando il successo del personaggio spinse la casa editrice a ristampare i primi 17 numeri della serie, che furono perciò ridisegnati nel 1964 dal 24enne Luigi Marchesi. «Lo hanno cercato dappertutto in Italia, hanno persino trovato un Angelo Zarcone in Sicilia, ma non era lui. Il fatto che i disegnatori venissero spesso pagati in nero, non lasciando tracce fiscali, non ha aiutato. E poi Diabolik era un fumetto complicato, non è detto che Zarcone volesse farsi riconoscere: quegli albi facevano scandalo, la Chiesa arrivò a proibirli». Lo raccontano nel film le stesse Giussani, in una preziosa intervista inedita, ripescata dalle Teche Rai, in cui le due donne spiegano la genesi del personaggio, la sua natura di «fuggitivo», la sua «violenza priva di sadismo», il rapporto di «affettuosa venerazione» con la compagna Eva Kant: «Diabolik è un personaggio complesso, affascinante e diverso da tutti gli altri. Non è un Tex. È nato dalla mente di due donne, ed è un valore. Il rapporto con Eva è dinamico, mai conflittuale, lei non ne è succube. Anzi, Eva e Diabolik non sono che le due facce della stessa medaglia, i due volti delle Giussani».
Imprenditrici «visionarie e geniali, che hanno rischiato in proprio per realizzare il fumetto», le due sorelle si appostavano vicino alle edicole per commentare ad alta voce l’uscita del nuovo albo, in una sorta di pre-marketing fai da te. «Lavoravano 24 ore al giorno su Diabolik, non smettevano di pensarci. Quando Sergio Bonelli me le presentò, negli Anni ’80, mi invitarono nella loro casa, praticamente un castello, e mi fecero vedere dove lavoravano. Compravano idee da scrittori e sceneggiatori, ne erano piene. E poi mi mostrarono i Super8 dei loro viaggi. Mi chiesero: che ne facciamo?». Trent’anni dopo quei filmati sono entrati a far parte del documentario di Soldi, «un atto dovuto nei confronti di quelle fantastiche donne», che si inserisce in un momento di particolare interesse per la figura di Diabolik. Protagonista di un film di Mario Bava nel 1968, Diabolik, e in cantiere da sette anni come progetto di serie tv per Sky, l’assassino in nero tornerà presto al cinema con i Manetti Bros., con un film in lavorazione annunciato dalla distribuzione 01: «I diritti del personaggio sono stati bloccati fino al 2000, poi c’è stato il tentativo di Sky mai andato in porto. Io, per non sbagliare, mi sono fatto aiutare da Mario Gomboli, attuale responsabile di Diabolik».
Molto amato dalle lettrici e ancora oggi al secondo posto nelle preferenze fumettistiche degli italiani dopo Tex, «Diabolik torna anche grazie al successo dei grandi film sui supereroi americani. I migliori hanno avuto il merito di diffondere, finalmente, una maggiore consapevolezza sulle potenzialità del fumetto».