Robinson, 27 febbraio 2019
Il ritorno di Sylvia Townsend Warner
Regalano stupore e gratitudine i libri di Sylvia Townsend Warner, scrittrice anomala, personalissima, curiosa e per nulla “élitaria”, termine che oggi ha perso connotazioni attraenti per diventare un insulto. Ma il procedere limpido e comunicativo della sua prosa, ricca di mistero ed emozioni, protegge da possibili accuse di posizioni criptiche o cerebrali questo talento profondamente inglese: lo è nei riferimenti letterari, nel culto del paesaggio, nella fibrillazione dello humour, nella tendenza all’eccentricità e nell’accentuato animalismo, che per esempio spicca ne Il cuore vero, romanzo del 1929 ora proposto da Adelphi (ottima la traduzione di Laura Noulian). Lo stesso editore ridà alle stampe, nella sua collana economica, l’esordio della Warner, Lolly Willowes ( 1926), di cui già nel 1990 presentò la versione italiana ( tradotta da Grazia Gatti). Le portentose avventure di Laura detta Lolly, lanciata con risolutezza nella sfera del trascendente, vennero lodate da John Updike, estimatore della Warner. Per lei nutriva ammirazione anche Giorgio Manganelli, il quale vide nei suoi intrecci stravaganti “un equilibrio tra il semplice e l’enigmatico, il diretto e il tortuoso”. Il plot di Lolly Willowes registra le sorti di una signora determinata nel suo intento di sfilarsi dalla noia del connubio con l’altro sesso e dal peso di una famiglia coercitiva, che la reputa un’inutile zitella.
La sua evasione consiste nel trasformarsi in una strega, scovando luoghi in cui si svolgono i Sabba e finendo per instaurare rapporti amorosi col demonio.
Qualche demone anticonformista costellò pure l’esistenza di Sylvia Townsend Warner, vissuta tra il 1893 e il 1978. Dopo una giovanile attività di musicologa, Sylvia si diede alla fiction e alla poesia, s’innamorò della poetessa Valentine Acklad ( che sarebbe stata la sua partner lungo quarant’anni), entrò nel Communist Party e andò in Spagna durante la Guerra Civile. Attiva sui fronti di varie battaglie ( fu femminista e antifascista, e lottò per i diritti degli omosessuali), firmò articoli politici roventi, tradusse Proust e pubblicò, oltre ai romanzi, short- stories frequentemente inclini al sovrannaturale.
Sul Guardian l’autrice di bestseller Sarah Waters l’ha definita una penna formidabile e trascurata ingiustamente a causa del suo radicalismo e della sua fiera omosessualità. Come narratrice Warner è al contempo nuova e antica. Affiora in lei la lezione dei grandi vittoriani, però il suo stile rapinoso e inaspettato emana una luce moderna.
Ispiratole dalla topografia dell’Essex e dalle sue paludi, Il cuore vero nasce, spiega la prefazione, come un adattamento di
Amore e Psiche, una delle Metamorfosi di Apuleio. Tuttavia i personaggi dietro cui si nascondono Venere, Giunone, Demetra e Persefone sono troppo camuffati nella campagna dell’Essex per permetterci d’identificarli. Armato di ritmo, musicalità e inventiva, Il cuore vero richiama Thomas Hardy nel sortilegio della natura che rispecchia gli umani destini, e “hardiana” è anche la protagonista, l’orfana sedicenne Sukey, simile a Tess dei d’Ubervilles nella purezza, nell’onirico isolamento, nell’affetto per le mucche e nel candido slancio con cui si perde nell’amore. Ma mentre Tess sarà una vittima schiacciata dagli eventi, Sukey è bellicosa fino all’incoscienza, e in questa sorta di ballata popolare realizzerà il suo sogno vincendo sfide impossibili. Come quella d’incontrare la Regina Vittoria per farsi aiutare nel raggiungimento del suo scopo ( le pagine del dialogo con la sovrana sono da antologia). Il sogno di Sukey si chiama Eric ed è un giovane biondo e vago, risucchiato nelle nuvole e considerato “un idiota” dalla società rurale che lo circonda.
Nella paludosa fattoria che accoglie Sukey come lavorante dopo l’orfanotrofio, la fanciulla riconosce il suo tesoro in quel ragazzo che adora gli animali e le riversa addosso piogge di baci. Eric è un alieno, un trapiantato, un escluso, in quanto ospite imbarazzante di quel contesto familiare ( la sua vera madre lo ha allontanato da sé come una vergogna). O forse è il doppio ( capovolto al positivo) dell’Heathcliff di Cime tempestose. Nella fiaba a lieto fine del Cuore vero, dove le nebbie e i sentimenti germogliano insieme a nugoli di mocciosi da badare ( Sukey è la tipica servetta e tata dei classici inglesi), l’eroina dimostra il coraggio di un’amazzone nel momento in cui il suo idolo le viene sottratto, e ha qualcosa di eversivo l’ostinazione impavida con cui affronta ogni peripezia per riacchiapparlo: Sukey è un ciclone e una rivoluzione. Quest’aspetto potente del femminile emerge anche in Lolly Willowes, la cui genialità sta nell’indurre il lettore a porsi spesso una domanda: il tramutarsi di Lolly in strega è psicologico o reale? Quando la “vergine negletta”, con superba esaltazione, s’avvinghia al Principe delle tenebre ( magari celato nelle sembianze di un gatto), Laura ci svela i conturbanti moti passionali che la possiedono, perché “le donne sanno di essere dinamite, e non vedono l’ora che si verifichi l’esplosione che renderà loro giustizia”.