La Stampa, 27 febbraio 2019
Biografia di Attilio Prevost, l’ufficiale che inventò la moviola
Le trincee sul Carso, le cornici innevate dell’Adamello, le prime linee a Candelù. I campi di prigionia, l’assalto a Oslavia, l’ingresso trionfale a Gorizia, Trento e Trieste. Ma anche Baracca l’asso dei cieli, D’Annunzio che si libra in volo verso Vienna, il Maestro Toscanini che fa visita ai soldati in trincea, dirigendo l’orchestra sotto le bombe. La Prima Guerra Mondiale è un grande affresco composto da infiniti attimi. Frammenti di storia che pochi hanno vissuto di persona, pochissimi hanno potuto raccontare e solo uno è riuscito a fotografare: il torinese Attilio Prevost. Come Robert Capa, vent’anni prima di Robert Capa.
Quelle fotografie sono rimaste secretate dal Ministero della Difesa per tanto, troppo tempo. E una volta divulgate sono circolate senza il nome di colui che le ha scattate. Fino a quando Marina e Marco Mojana hanno iniziato a ricostruire insieme alla madre l’universo d’immagini del loro bisnonno. Riuscendo finalmente a restituire quei preziosissimi scatti al loro autore.
«All’epoca non c’era l’idea del fotografo come creativo», spiega Marina. «Chi scattava era un ufficiale della Sezione Cinematografica del Regio Esercito, accompagnato da un uomo che portava il cavalletto, un altro che si tirava dietro le lastre e l’autista. Con questa formazione si muovevano sui bricchi, lungo le mulattiere, nella neve. C’è voluto del tempo per mettere insieme i materiali, ma era ciò che mia mamma desiderava fortemente».
Attilio Prevost visse un’esistenza avventurosa. Anzi, ne visse due. La sua seconda vita inizia al ritorno dal fronte, sul petto la Croce di Guerra al Valor Militare. Si lancia nell’industria del nuovo che avanza: il cinema. Prima fonda una piccola casa di produzione, poi una fabbrichetta che produce proiettori. Ha un cervello brillante e una laurea in ingegneria meccanica di precisione, conseguita a Parigi. Già nel 1911 aveva assemblato la sua prima cinepresa 35 mm – con cui aveva filmato la guerra in Libia – e durante la Grande Guerra aveva inventato un apparecchio «presa vedute», utilizzabile a terra o sui velivoli.
«Non aveva potuto avere figli, mia nonna venne adottata», racconta ancora Marina. «Credo fosse per questo che trattava con tanto amore le sue apparecchiature. Erano loro i suoi bambini. La bisnonna gli preparava tutte le mattine la camicia pulita e lui tutte le sere tornava a casa con i polsini grigi. Aveva una passione fisica per le macchine, amava metterci le mani dentro, non aveva paura di sporcarsele».
Tra le tante invenzioni, il brevetto che cambia la vita, sua e di tutto il cinema: la prima moviola al mondo con piano di lavoro orizzontale, che consente al montatore di lavorare seduto, con accanto il regista. Su quella postazione scorreranno tutte le pellicole del neorealismo, i capolavori di Rossellini, Visconti, De Sica, Lattuada, Pasolini. Nel 1936 persino Orson Welles si recherà personalmente in Italia per acquistare una moviola dell’ingegner Attilio.
Ora i due pronipoti, insieme alla madre Annamaria Lari Prevost, hanno dato alle stampe il volume «Attilio Prevost (1890-1954). Una vita in prima linea. Ritratto dell’inventore della moviola» (Silvana Editoriale). Lo presenteranno domani alle 21, presso la Sala Rondolino del Cinema Massimo di Torino (via Verdi 18, ingresso euro 4,50). Seguirà la proiezione di «Il processo» di Orson Welles, film che venne montato su due moviole Prevost 16/35 a sei piatti.
La serata segna la prima fase di una collaborazione che entro la fine dell’anno dovrebbe portare alla donazione dell’archivio della famiglia Lari Prevost Mojana al Museo Nazionale del Cinema. Se l’operazione andrà in porto, quel preziosissimo patrimonio cine-fotografico potrà trovare un’adeguata sistemazione, consentendo di valorizzare la figura del suo creatore. Sarà la terza vita di Attilio Prevost.