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 2019  febbraio 27 Mercoledì calendario

Attenti ai Medicanes, i super-uragani

Negli Usa li chiamano con innocenti nomignoli, come «Sandy», «Harvey» o «Irma». In Italia, invece, l’onomastica delle calamità naturali è meno apotropaica: le ondate di caldo infernale da noi sono quel che sembrano e cioè «Lucifero», «Caronte», «Minosse». Se non bastassero, presto dovremo trovare nuovi e inquietanti nomi anche agli acquazzoni europei, perché saranno sempre più violenti: i «Medicanes» - crasi dei termini inglesi «Mediterranean» (Mediterraneo) e «Hurricanes» (uragani) - accentueranno in futuro le loro caratteristiche tropicali, con venti oltre i 100 all’ora. La zona più colpita potrebbe essere la costa ionica dell’Italia.
La «diagnosi» è pubblicata in uno studio, il primo effettuato con un modello di clima globale ad alta risoluzione, su «Geophysical Research Letters», a firma di un team di fisici dell’atmosfera tra cui un italiano, Salvatore Pascale, ricercatore alla Princeton University e alla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), praticamente la Nasa della meteorologia.
Come i cicloni tropicali anche i Medicanes si rafforzano grazie allo scambio di energia tra il mare e l’atmosfera (maggiore è la temperatura del mare, maggiore è l’energia che alimenta i venti) e possono sviluppare il caratteristico occhio centrale. «I Medicanes hanno intensità ed estensione inferiore a quella dei parenti tropicali - precisa l’esperto -, perché i venti generalmente non superano i 100 km/h e il raggio i 200-300 km, laddove i cicloni che si abbattono, per esempio nel Sud degli Usa, sviluppano venti anche superiori a 250 km/h e arrivano a un raggio di 1000 km». C’è però un problema. Il progressivo alzarsi delle temperature dei mari favorisce l’intensità di questi fenomeni. Riscaldamento che la scienza ha certificato, evidente, per altro, non solo ai fisici che studiano il clima, ma ai biologi che studiano l’inedita biodiversità nel «Mare Nostrum», con alghe e organismi un tempo presenti solo a basse latitudini.
«Le osservazioni mostrano che le temperature nell’area del Mediterraneo, e quindi in Italia, sono aumentate di circa 1.4 gradi in media rispetto alla fine del XIX secolo», spiega Pascale. Oggi i Medicanes sono relativamente rari e si verificano, in media, una o due volte l’anno. In futuro questi fenomeni accentueranno le caratteristiche tropicali, tenderanno a durare più a lungo, a generare piogge più intense e a sviluppare venti più forti. «Il nostro studio evidenzia che il rischio sarà maggiore in autunno e aumenterà nel Mar Ionio. Inoltre, sappiamo che con una maggiore durata e una maggiore intensità dei venti aumenterà l’indice di dissipazione di energia cinetica, che è correlata alla capacità distruttiva dei cicloni».
Gli eventi estremi legati alle precipitazioni stanno aumentando all’aumentare della temperatura proprio come previsto dalla teoria e, quindi, secondo una tendenza dettata dalla capacità di una atmosfera più calda a contenere più vapore acqueo (secondo la legge di Clausius-Clapeyron). Immaginare le conseguenze non è facile, ma potrebbero consistere in un aggravio dei fenomeni che già osserviamo quando i cicloni colpiscono le coste: allagamenti, alluvioni, frane, danni a catena.
Oggi misuriamo l’intensità di un uragano con la scala di Saffir-Simpson, che va da 1 a 5 e si basa sui venti. Secondo questo riferimento, i Medicanes che colpiranno l’Italia entro la fine del secolo saranno di categoria 1, ma non è da escludere che possano arrivare a categoria 2. Dipenderà molto dall’aumento della temperatura media, secondo lo scenario più ottimista di circa due gradi rispetto al periodo preindustriale, entro la fine del XXI secolo. Va detto, però, che scenari più pessimisti prevedono temperature di oltre quattro gradi più alte e lo studio di Pascale e colleghi si è basato su uno scenario intermedio.
Di certo l’Italia non è preparata: un esempio, tra gli eventi più violenti, è quello del 1996, quando un Medicane flagellò il basso Tirreno con venti che superarono i 140 km/h sulle Eolie, affondando gli yacht e provocando frane ed esondazioni di fiumi e torrenti tra Messina e Crotone. Se questa è la premessa, faremo meglio ad attrezzarci.