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 2019  febbraio 27 Mercoledì calendario

Grandi opere, la storia dice che è meglio realizzarle

Nei primi trent’anni del XIV Secolo Siena vive in prosperità e abbondanza. Il ridimensionamento negli scambi internazionali e le prime fuoriuscite di mercanti verso Firenze non impediscono alla città di mantenere una forte stabilità istituzionale, raggiungere i 50 mila abitanti e avviare grandi opere pubbliche, con progettisti e di maestranze di primo livello. Ambrogio Lorenzetti dipinge Il Buongoverno nella sala del Consiglio Generale del Comune. 
Nel 1339, il Consiglio Generale delibera l’avvio di una nuova grandiosa opera, il Duomo Nuovo di Santa Maria, che deve incorporare la chiesa esistente come transetto per diventare la basilica più grande della cristianità. 
Nel maggio del 1348 i lavori s’interrompono bruscamente. La peste nera s’abbatte sulla città e, in quattro mesi, uccide più della metà della popolazione. Con le parole di Agnolo di Tura, «La mortalità cominciò a Siena di magio, la quale fu oribile e crudel cosa, e non so da qual lato cominciare la crudeltà che era». La morte del capomastro e di gran parte delle maestranze rendono insolubili problemi strutturali decisivi. Si scoprono errori progettuali, alcune strutture collassano e, nel 1357, il nuovo governo decide di abbandonare il progetto, sovradimensionato per le aspirazioni e le capacità della città. 
Siena perde ogni prospettiva di competere con Firenze. I capitali si spostano dagli affari alla rendita e al finanziamento del debito pubblico. Gli abitanti sono meno di 15 mila, l’età d’oro di banchieri e mercanti è un ricordo: «l’arti et mestieri sono (…) guaste e ridotte in modo che si vive in Siena a modo di terra castellana», i giovani «non fanno nulla». 
La vicenda del Duomo Nuovo accompagna l’ascesa, la grandezza, gli eccessi e il declino di una comunità e ci dice quanto siano complesse e relazioni tra grandi opere, istituzioni e società. 
Né sorprende che il confronto sulle infrastrutture possa essere punto d’accumulazione di contrapposizioni profonde. Queste contrapposizioni, che oggi si concentrano sulla Torino-Lione, non vanno consegnate alla lotta tra fazioni. 
Il potenziamento dei corridoi ferroviari europei è una priorità strategica mai messa in discussione. Vero è, peraltro, che il contributo più rilevante per l’Italia è rappresentato, nei fatti, … dall’investimento elvetico per il tunnel del Gottardo. Negli ultimi anni, le valutazioni tecnico economiche e la project review ministeriale hanno ridimensionato l’investimento sul corridoio Torino-Lione, preservando l’impatto su tempi di percorrenza e volumi di traffico. L’investimento può concentrarsi sulla galleria tra Susa e St. Jean de Maurienne, lo snodo chiave per i treni ad alta capacità di carico. La rete tra Torino e Susa può essere intanto ammodernata, i costi dell’opera possono essere ridotti drasticamente rispetto alle ipotesi iniziali. Su questo terreno, le analisi costi-benefici e le valutazioni di sostenibilità finanziaria hanno svolto un ruolo essenziale. 
Al contrario, qualunque passo indietro rispetto all’obiettivo primario o rispetto alla scelta politica sui corridoi ferroviari europei si pone sul piano delle decisioni politiche, decisioni che possono avvalersi di analisi economiche d’impatto complessivo ma che si legittimano solo nel dibattito pubblico e nel confronto democratico. 
I calcoli di convenienza economica, forzati sino a prescrivere la scelta tra alternative figlie di decisioni strategiche molto diverse tra loro, conferiscono alla decisione politica un’illusoria parvenza d’oggettività, ma sono parziali, soggettivi, tutt’altro che risolutivi. Troppi i punti controversi, sul lato dei costi e su quello dei benefici futuri: le ipotesi sulle relazioni di sostituibilità o complementarità tra sistemi di trasporto, l’orizzonte temporale per il recupero dell’investimento, il tasso di sconto da impiegare, il computo delle variazioni nelle entrate fiscali, le relazioni tra queste ultime e la stima delle esternalità ambientali, l’impatto del progresso tecnologico sui prezzi relativi, l’impatto sul sistema economico su scala regionale, nazionale e internazionale. 
Il fatto è che sulla Torino-Lione, come sugli altri cantieri per le infrastrutture, si misura la capacità di una società di programmare, progettare, valutare, finanziare, realizzare e controllare le proprie opere. E, con essa, la capacità di formare e trattenere lavoro qualificato: sui cantieri e nelle attività che più dipendono dai collegamenti con i mercati internazionali. 
La peste non è alle porte, né si tratta di edificare opere fuori scala, scavar buche o costruire piramidi. Il Duomo Nuovo racconta di un’ambizione oltre misura ma, una volta eliminati gli eccessi, è un monito a non aut-infliggerci incertezza, chiusura e ripiegamento. Questi germi finirebbero per allontanare ancor più gli investimenti, le tecnologie e le competenze che diciamo di voler coltivare e valorizzare.