la Repubblica, 27 febbraio 2019
Calenda in costume e altri esibizionismi di sinistra
Incurante o forse ignaro dell’effetto che possono trasmettere le immagini, ieri Carlo Calenda ha postato una sua foto in costume da bagno sullo sfondo di un paesaggio alpino: laghetto, pontile, neve, abeti e baita alberghiera. Per contestualizzare l’insolita visione, il tweet d’accompagnamento recitava: «Chi l’ha detto che solo i sovranisti (quelli originali, i nostri al massimo mangiano nutella) fanno il bagno nell’acqua ghiacciata?». Quindi l’hashtag, del genere ironico sdrammatizzante: #orgogliosovranista. E vabbè.
Calenda si riferiva a Putin che il giorno dell’Epifania ortodossa si è pubblicamente sottoposto, come molti fedeli, a un’immersione rituale in un lago, a meno 5 gradi. Ma sui social la faccenda ha subito preso la via di Salvini, che della conquista dell’attenzione ha fatto ragione di vita e di dominio e perciò si mette in mostra a tutto spiano, in qualsiasi momento e circostanza, meglio se stramba, purché si parli di lui. Nella foto di Calenda è ben visibile anche un magnifico cigno. E siccome si tratta di un animale di compiaciuta bellezza che nei dizionari dei simboli occupa diverse pagine, dalla mitologia greca a quella hindu, dal Faust a Jung passando per le allegorie alchimistiche, verrebbe anche da chiedersi se in quelle acque gelide non sia finito qualcosa di più impegnativo e complicato, quale può essere l’immagine, o meglio autorappresentazione del Pd e di quel che disastrosamente ne rimane. Il dubbio è che l’occasione dell’inutile bagno autosacrificale di Calenda vada oltre la rincorsa a Salvini. Nemmeno una settimana fa, nella più totale e colpevole distrazione la Direzione Comunicazione di Mediaset ha cortesemente inviato la foto dell’abbraccio post-intervista fra Nicola Zingaretti e Barbara D’Urso. L’imminente leader democratico sorrideva appagato e la conduttrice gli si stringeva addosso svenevole quanto basta poggiandogli una manina sulla spalla. Cominciamo bene!, veniva da pensare osservando la stessa identica e posata opportunità offerta dalla sacerdotessa della Terza Repubblica a Berlusconi, Salvini, Di Maio, Di Battista e di nuovo Berlusconi, che bene o male è il padrone di casa. In altre parole: perché Zingaretti, che pure per la sua astuta ritrosia è conosciuto come “Er Saponetta”, c’è cascato? Possibile risposta: da quando ha deciso di fare il leader, ha smesso di figurare come persona seria e sorvegliata. Lo conferma in parte quell’altra sua recente foto su Vanity Fair: a piedi nudi, sul divano di casa. E perché? Perché così fan tutti.Sia pure senza cigni e laghi di montagna, il nudo maschile democratico è del resto divenuto ormai un genere. Vedi la foto dell’onorevole Boccia, che pure è persona simpatica e intelligente, nel centro benessere di una masseria; come pure quella del senatore Bonifazi, che come cassiere pd di guai da sbrogliare deve averne fin sopra i capelli, pure lui immortalato sul divano, ma a torso nudo e con la partecipazione straordinaria di un paio di cagnolini. Ora, ciascuno faccia un po’ quello che vuole.
L’umanizzazione del politico è una risorsa, ma anche un alibi, un pretesto e un lasciapassare di furibonda e rischiosa efficacia.Eppure sorprendono, specie in un’epoca così estetizzante, le strategie che nel profondo sovraintendono all’auto-esposizione di quella che fu il più genuino prodotto e brand del renzismo: Maria Elena Boschi, che nei profili social fa ginnastica e prende il tè nel deserto, e con l’identica, sorridente naturalezza chiacchiera con una suora e coccola il bracco di Weimar.
Quando non si rivolge all’obiettivo prestigiosissimo di Oliviero Toscani che in un giorno di buonumore la ritrae per il lancio di Maxim Italia con trucco impercettibile e capelli finto spettinati, jeans e sneakers, però ugualmente smorfiosissima, e poi in un lettino singolo, un po’ rustico, le lenzuola chiare con il bordo rosa, il pigiamino in pizzo di San Gallo. E insomma, si perdoni qui il tono oracolare, ma tra letti, panze, bagni, turbo-narcisismi, ruffianerie, subalternità e dilettantismi, il modo di apparire di quella che un tempo era la sinistra finisce per sembrare lo specchio della sua catastrofe. E c’entrerà pure Salvini e lo spirito dei tempi, ma il sospetto è che insieme alle passioni, alle idee e ai progetti gli uomini e le donne del Pd abbiano smarrito il contegno. E con esso l’autenticità. Poi sì, certo, a pensare così ci si sente obsoleti, nostalgici. Per questo vale la pena ricordare che anche a Togliatti, sull’Unità negli anni 50 spianarono le rughe, come poi a Berlusca. Ma in certe immagini dei 70 Berlinguer sembrava molto, ma molto più vero dei suoi epigoni.
Senza andare troppo in là, il bacio patinato di Occhetto a Capalbio (1988) interruppe quel provvido flusso di spontaneità; il fotografo personale di D’Alema, dieci anni dopo, gli diede l’estrema unzione. Vero è che Prodi utilmente se ne fregava: l’immagine era una cosa, la sostanza, cioè lui, il suo contrario. E lo stesso Veltroni che da esperto comunicatore aveva la consapevolezza di non essere un soggetto così fascinoso, puntò sui paesaggi, i cipressi, gli antichi borghi, i giovani, i buoni vecchi e i neonati innocenti: funzionò fino a quando la sconfitta non li rese materiale da depliant di assicurazioni. Ma il guaio doveva venire e, se il percorso è corretto, cominciò ad apparecchiarsi con Burlando che mostrava i porcini, Goffredone Bettini accarezzato dai palazzinari, Fassino col berretto da Babbo Natale e Bersani che, aperti i cassetti, mise in circolo le foto di lui da giovane e capelluto: «Sembra Cary Grant» chiarì la portavoce. Ah.
Sempre un po’ esagerando, ma non troppo, i social portano a compimento il cataclisma iconografico della sinistra. Dopo essersi mascherato da Fonzie, con tanto di espressione da impunito, e comparso insieme alle due nonne testimonial su una copertina, disintermediando e pasticciando col telefonino Renzi pubblicò per la delizia di milioni di guardoni il selfie del suo perplesso faccione; e sotto gli appose la fatale parola: “Io”. Dio ne scampi la sinistra dall’io. Se non altro perché la destra ha miglior gioco, e cigno o non cigno simbolico, sente meno freddo nell’acqua ghiacciata.