Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  febbraio 27 Mercoledì calendario

I cambiamenti climatici spiegano tutto e niente

I pini di Roma non sono più quelli di Venditti, che «la vita non li spezza», i pini di Roma vanno giù in tutte le stazioni del poema sinfonico di Respighi, da villa Borghese alle catacombe, dal Gianicolo alla via Appia. Ma niente paura, c’è pronta la spiegazione cotta e mangiata. Anche per Pasquale, il povero quattordicenne morto schiacciato dal padre a Capena di Roma nell’infuriare delle raffiche di vento, la spiegazione passepartout è la stessa e l’ha trovata la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, scomodando i fatidici cambiamenti climatici. Quanto a dire tutto per dire niente, ma soprattutto dire niente per dire tutto: fragranti frasi a effetto, difficilmente smentibili in ragione della genericità: qualsiasi evento si può spiegare con la formula dei cambiamenti climatici, che per definizione sarebbero cambiamenti originati da cambiamenti, in modo tautologico; per dirla con Moravia, «una cosa è una cosa». Che cosa, e su quali fondamenti, è irrilevante.
Così, le prefiche dei cambiamenti climatici sorvolano sulla distinzione tra riscaldamento entropico (insito in un sistema fisico) ed antropico (generato da attività umane), sull’effettiva incidenza dell’anidride carbonica, sulla reale frequenza dei fenomeni meteo che, malgrado l’allarmismo isterico diffuso, appaiono, ad una comparazione seria, in calo, come si evidenzia nel volume del prof. Franco Battaglia Capire le molecole (citato da Nicola Porro): fra il 1850 e il 1930 l’America è stata colpita da 149 uragani, di cui 10 di forza 4; fra il 1931 e il 2010 l’America era stata colpita da 135 uragani, di cui 8 di forza 4.
Tutto si spiega senza spiegare niente al cospetto di una problematica sulla quale non esistono certezze acquisite ma impressioni, proiezioni, modelli matematici la cui attendibilità rasenta quella degli exit poll elettorali. Quella dei cambiamenti climatici è una profezia che si autoadempie, una bolla di conformismo dalla quale quasi nessuno osa più uscire, pena l’emarginazione sociale e intellettuale: in America si contempla la possibilità di imporla per legge, vale a dire condannare chi, a maggior ragione se munito di riscontri scientifici, osasse confutarla.
Ma non ha torto chi osserva che se le prove del riscaldamento globale, oggi prudenzialmente corretto nei più vaghi cambiamenti climatici, fossero salde come da più parti si sostiene, il dibattito sarebbe chiuso, la faccenda pacificamente acquisita. Invece tutte le previsioni apocalittiche, dallo scioglimento dei ghiacci all’estinzione degli orsi polari, sono di là dall’avverarsi (ed è emerso, a più riprese, lo scandalo dei dati e delle e-mail truccate per dipingere la situazione climatica più grave di quanto non fosse in realtà). Quanta fede ci serve, ancora?
D’altra parte, se i cambiamenti climatici si stanno mangiando il pianeta, le soluzioni per arginarli restano fantasiose, ipocrite o improponibili, come il «ritorno alla zappa» preconizzato dalla candidata statunitense Dem Alexandria Ocasio, questa influencer da Instagram votata, per disgrazia dei suoi connazionali, alla politica. Quanto costano queste chimere? Si calcola oltre 1,5 trilioni di dollari l’anno, ed è denaro pubblico; tanta spesa, secondo i calcoli più apocalittici, compenserà il «riscaldamento globale» entro la fine del secolo di 0,048° C (0,086 ° F), vale a dire 1/20 di grado Celsius. Senza contare l’impatto devastante dei «greenies» sulle popolazioni più povere, sulle specie animali, sulla crescita economica che storicamente ha arginato le emergenze ambientali ricorrendo alla ricerca e alla tecnologia. Quando la coscienza morale si risolve in irresponsabilità. Ma che importa?
«Preoccuparsi» per i cambiamenti climatici suona bene: sono il Grande Alibi, la spiegazione irrazionale, magica, ideologica che funziona per tutto, disgrazie domestiche, migrazioni, stupri, carenza di produzione del miele dalle api, buche stradali. E, ovviamente, caduta pini di Roma, anche se uno su tre di quei trecento appena sradicati aveva sul tronco la croce rossa del pericolo, le radici erano andate, la manutenzione latitante. Ma ammetterlo sarebbe imbarazzante, dare la colpa ai cambiamenti climatici, cioè a noi tutti, cioè alla società, cioè al capitalismo, cioè a Trump, è molto più appagante, rigenerante, deresponsabilizzante: tutti colpevoli, nessun colpevole. Tony Heller è un cacciatore di bufale climatiche, ha scovato quelle del New York Times e poi quelle della NOAA, l’agenzia americana presso il Dipartimento del Commercio; oggi Heller sostiene che «l’allarmismo climatico è solo una versione moderna delle superstizioni primordiali dell’uomo su eventi naturali catastrofici, [senza] prove legittime che lo dimostrino». Il che non significa non vigilare, non cercare soluzioni razionali, ma solo che l’allarmismo climatico è uno dei moderni vestiti nuovi dell’imperatore insieme al pan-razzismo, al pan-sessismo, agli altri pregiudizi che coagulano un non-pensiero ora nervoso ora intontito, chiuso nella gabbia del politicamente corretto.