Avvenire, 27 febbraio 2019
Tumori, invalidità con il «gene Jolie»
Tutto cominciò con il clamoroso annuncio di Angelina Jolie: il 14 maggio 2013 il New York Times pubblicava una lettera della popolare star sotto il titolo My medical choice – La mia scelta medica – nella quale l’attrice premio Oscar allora 38enne annunciava di aver scoperto di avere un gene difettoso, il Brca1, «che aumenta il rischio di sviluppare il cancro al seno e alle ovaie». Una presenza non è un verdetto, ma la morte per cancro al seno e alle ovaie – a 56 anni – di sua madre, e anche della nonna e della zia, erano più che un indizio. A scuotere l’opinione pubblica fu la notizia che per questo motivo la Jolie, pur non avendo ancora alcun segnale di malattia oncologica, intendeva sottoporsi a mastectomia preventiva, effettuata il 2 febbraio, facendosi poi asportare anche le ovaie il 27 aprile. L’impatto della notizia fu enorme: ovunque migliaia di donne si sottoposero a screening genetico, anche se i dati non registrarono impennate negli interventi preventivi.
L’onda lunga di quei fatti arriva ora nella vita delle donne italiane. Con una comunicazione tecnico- scientifica diramata il 13 febbraio e indirizzata a tutte le commissioni medico-legali, l’Inps ha infatti riconosciuto l’estensione dell’invalidità alle donne sane ma portatrici dei geni Brca1 e Brca2 – rispettivamente presenti sui cromosomi 17 e 13 e responsabili della metà delle forme ereditarie di tumori femminili – che decidono di sottoporsi a interventi di chirurgia preventiva. Dunque, lo Stato offre una tutela speciale alle donne che non hanno ancora sviluppato la malattia equiparandole alle malate oncologiche conclamate e annoverando la mutazione genetica tra i fattori di invalidità anche senza attendere che la malattia si manifesti. È una vittoria delle sigle che si battono per la tuteladelle donne con patologie tumorali, con la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) che ha supportato la richiesta di Abrcadabra, realtà nata per dare visibilità alle donne portatrici della temibile mutazione. «Le indicazioni date dall’Inps per una corretta valutazione della disabilità anche per le persone sane portatrici di un rischio genetico ma che affrontano interventi terapeutici preventivi di non poco rilievo – spiega Elisabetta Iannelli, segretario generale Favo – costituisce una vera apertura di orizzonti che in futuro riguarderà anche altri rischi di malattia diagnosticati prima dell’insorgenza». Esulta anche la presidente di Abrcadabra, Ornella Campanella: «Le persone con mutazione dei geni Brca diventano oggetto di una speciale tutela del nostro sistema di welfare. È una rivoluzione di diritto che apre anche a una nuova consapevolezza sul rischio genetico».
È proprio attorno a questo concetto però che la comunità scientifica resta divisa. Lo studio dell’Università inglese di Southampton su 2.733 donne con tumore al seno, pubblicato un anno fa da Lancet Oncology, ha mostrato che la mortalità era identica tra donne con e senza mutazione genetica. È la conferma che «non ha senso un’applicazione indiscriminata» di questo metodo, al quale occorre sottoporsi solo «in presenza di una familiarità molto spiccata». Predica la massima cautela Domenico Coviello, genetista del «Gaslini» di Genova ed ex copresidente di Scienza & Vita. Che invita a promuovere la «vera prevenzione», cioè «quando c’è un fattore di rischio sottoporsi a esami periodici accurati e qualificati».