la Repubblica, 26 febbraio 2019
Lo spread a quota 300 Giorgetti vola negli Usa per chiedere aiuto
Il governo italiano in missione d’emergenza anti- spread negli Stati Uniti. Tra due giorni, il 27 febbraio, il potente sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti volerà fino a New York. «Dobbiamo rassicurare gli investitori – ragiona alla vigilia – c’è nervosismo». Ecco come i gialloverdi provano a fronteggiare il prossimo, decisivo, infernale mese sui mercati. Spiegherà agli analisti dei grandi fondi e delle banche d’affari che i prossimi “colpi” delle agenzie di rating non danneggeranno la capacità dell’Italia di ripagare chi punta sui titoli di Stato. «Dirò di fidarsi dell’Italia – è il ragionamento del viaggio il braccio destro di Matteo Salvini – Dirò che il governo è responsabile. Che la Lega è garanzia di stabilità».
L’idea di inviare un ambasciatore politico oltre oceano è degli ultimi giorni. Il calendario è stato fissato molto alla svelta, non appena lo spread ha iniziato di nuovo a ondeggiare pericolosamente attorno a quota 300. E il peggio, questo temono a Palazzo Chigi, deve ancora venire. Quello di Fitch è stato un” buffetto”. Il 15 marzo toccherà all’agenzia di rating Moody’s esprimersi sul debito sovrano italiano, poi il 26 aprile sarà la volta di Standard & Poor’s. In mezzo, le “pagelle” dell’Europa e la recessione che minaccia di mordere. Un problema talmente grosso che il sottosegretario è stato costretto ad anticipare il check-in.
Prima della missione negli Stati Uniti, il leghista avrà una breve tappa intermedia nella City londinese. A New York resterà invece tre giorni pieni, aggiungendo forse altri appuntamenti lungo la East Cost. Parlerà con gli hedge fund e i fondi pensionistici col portafoglio più pesante, orientandosi con una mappa già abbozzata dal sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, che nella vita precedente lavorava alla Barclays di Londra. A gennaio, proprio Picchi aveva incontrato dieci grossi investitori di Wall Street e preparato il terreno per la missione.
Il premier Giuseppe Conte è avvertito del blitz negli Usa, anche se Giorgetti ha pianificato l’operazione in piena autonomia. Perché l’economista laureato alla Bocconi ed ex presidente della commissione Bilancio della Camera rappresenterà le ragioni dell’Italia e dell’esecutivo, ma anche quelle di Salvini. Il sottosegretario si offrirà come il volto presentabile del leader con la ruspa, che nell’amministrazione americana non gode di grossi sponsor.
Da giugno scorso è Giorgetti, invece, a” marcare” gli emissari a stelle e strisce. E a tessere il sottile filo della diplomazia con la Bce di Mario Draghi. È l’unico esponente di governo con il quale il governatore della Banca centrale europea si confronta, fatti salvi i rapporti istituzionali col ministro dell’Economia Tria. Ed è sempre lui a tenere aperto il canale del dialogo con la grande impresa del Nord, il vero bacino di consenso del Carroccio. Se Salvini la prossima settimana tornerà a incontrare il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia per assicurare che la Tav e le grandi opere si faranno nonostante i 5stelle, ad esempio, è sempre grazie al plenipotenziario leghista. Per le stesse ragioni, Luigi Di Maio e l’intera filiera 5S lo tengono nel mirino, dipingendolo come il referente dei “poteri forti”.
A Wall Street, allora, Giorgetti porterà il «messaggio rassicurante» dell’ala governativa più vicina al mondo della finanza e delle imprese. E a differenza dei vicepremier, azzarderà parole di realtà. Non escluderà ad esempio eventuali correzioni nei conti, né la manovra bis, e lo farà per spiegare agli investitori che alla fine l’Italia resterà comunque sui binari delle regole e rispetterà gli impegni sul debito. «Faremo quello che va fatto, siamo persone serie».
C’è una postilla, in questo viaggio. Riguarda la partecipazione di Giorgetti a una convention dei conservatori americani alla quale, in un primo tempo, avrebbe dovuto partecipare Salvini. Il ministro dell’Interno non andrà. Un po’ perché troppo impegnato nella perenne campagna elettorale, un po’ per vigilare sugli alleati finché non sarà chiusa la vicenda della” Diciotti”. Un po’, infine, perché a Washington vogliono ancora vederci chiaro sul suo feeling con Mosca.