Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  febbraio 26 Martedì calendario

Un terzo degli italiani guadagna quanto il reddito di cittadinanza

Il 30% dei contribuenti italiani dichiara meno di 10 mila euro all’anno. Al Sud la percentuale sale al 40%, nelle zone del Centro si attesta al 28%, mentre al Nord viaggiamo attorno al 24%. Questo significa che 12 milioni di persone su 41 milioni vivono grazie a un reddito in linea con quello di cittadinanza. Buste paga leggere, poche ore, contratti stagionali e part-time. Lavori poveri, insomma. Ora spiazzati non solo dal sussidio dei Cinque Stelle, che assegna a un single fino a 780 euro al mese, 9.360 euro all’anno. Ma anche dall’emendamento votato in Senato che obbliga i suoi beneficiari ad accettare un posto solo se lo stipendio è di almeno 858 euro, il 10% in più di 780, ovvero 11.154 euro all’anno. Con una differenza di non poco conto. Il reddito di cittadinanza, misura di contrasto della povertà, è esentasse. Il resto no.
Ne avevano parlato già Inps e Ufficio parlamentare di bilancio nelle loro audizioni parlamentari. Il sussidio rischia di disincentivare la ricerca di un’occupazione e incoraggiare “comportamenti opportunistici” – passare al nero – visto il panorama italiano già parcellizzato in lavoretti, come confermano anche i dati Istat di ieri e che non promette nulla di buono con la recessione incombente. Ora uno studio della Uil- Politiche territoriali dà uno spaccato territoriale non certo confortante. Se a Crotone, già città regina nella top-ten delle assegnazioni del reddito secondo le stime Svimez, quasi il 50% dei contribuenti sta sotto i 10 mila euro all’anno, la sorpresa arriva dal Centro e soprattutto dal Nord.
A fronte di una media pari al 23% in Lombardia, città come Como e Sondrio la battono: 24% e 27% rispettivamente. Significa che più di un quarto dei contribuenti è sotto quella soglia di reddito. In Piemonte (24% la media), Asti è al 27%. In Veneto (25%), Rovigo è al 28%. In Liguria (26%), Imperia è al 32%. In Toscana ( 26%), l’operosa Prato è al 29%. Nel Lazio, Latina viaggia al 37% contro una media di regione del 30%. Al Sud è un pianto: Foggia 44%, Vibo Valentia 47%, Ragusa 46%. È l’Italia dei working poor, di chi lavora ma è ancora povero e non prenderà il reddito di cittadinanza. A meno di scorciatoie. Succederà?
«Non prevedo che la gente lasci il lavoro per ricevere il sussidio, un rischio troppo alto», ragiona Emilio Reyneri, docente emerito di Sociologia del lavoro alla Bicocca di Milano. «Ma chi perde il posto o non ce l’ha smetterà di cercarlo». Le imprese potrebbero essere spinte ad alzare i salari? «Solo in presenza di una forte domanda di lavoro, per attirare i lavoratori. Una situazione che al momento non si vede, specie al Sud. Ma anche al Nord, dove la ripresa è stata trainata dai part-time involontari». Attenzione però a «non considerare il reddito di cittadinanza come un salario minimo». Ne è convinto Fedele De Novellis, economista e direttore di Congiuntura Ref. «Di sicuro assisteremo a una diminuzione dell’offerta di lavoro. Con il rallentamento dell’economia molte imprese tendono a liberarsi di manodopera. Chi rimane senza posto si troverà qualcosa in nero in attesa del sussidio. L’effetto spiazzamento impatterà su tutti i lavoretti. Eppure non credo che il reddito arriverà alla soglia di 780 euro o superiore. Le risorse sono tarate per 1,3 milioni di famiglie. E se alla fine i richiedenti con i requisiti fossero 2 milioni? Visto che i controlli saranno impossibili, l’assegno si dimezzerà per via della clausola di salvaguardia».«Nessuno si illuda che il reddito faccia aumentare i salari», avverte Ivana Veronese, segretaria confederale Uil. «I salari salgono quando l’economia tira e si abbassa il costo del lavoro. Il governo dovrebbe puntare su questo. E ad estendere la no tax area dagli 8 mila ai 10 mila euro, così che chi guadagna lo stesso importo del reddito abbia anche la stessa imposizione fiscale».