Corriere della Sera, 26 febbraio 2019
Intervista a Robert Kubica
BARCELLONA «Robert, Robert!». Bandiere polacche, bambini in fila per i selfie, c’è la ressa davanti al garage della Williams. Kubica sorride e timbra ricordi. È tornato dopo 9 anni e 18 operazioni al braccio destro. Domani sarà di nuovo al volante al Montmelò (oggi tocca al compagno George Russell), gli altri hanno già macinato migliaia di chilometri nei test. Lui deve ancora prendere le misure a causa dei clamorosi ritardi nella realizzazione della nuova monoposto da parte della squadra di Grove.
È stato un inizio da incubo per la Williams, ma lei si allena con la bici e alle salite è abituato. Non è vero?
«Sì però il ciclismo è bello perché dopo la salita c’è la discesa».
E qui?
«Non è che detto che ci sia la discesa. E io sono uno a cui piacciono le discese. Se il ciclismo fosse solo scalare non sarei mai arrivato in cima a tanti percorsi. Qua è diverso, ma non è stato un inizio né facile né piacevole».
Dentro di sé forse lo sapeva che sarebbe stata una sfida complicata.
«Sì, ma non così...».
Però una bella discesa l’ha già imboccata: è tornato in F1.
«Ni. Quella era una pianura, ora si risale. È una sfida difficile anche se filasse tutto liscio, e di certo gli intoppi non aiutano né il team né me. Già si gira poco prima di Melbourne(17 marzo ndr) e io sono pure stato assente tanti anni. Sembra una di quelle salite che all’ultimo km ti dicono “tranquillo, qui spiana”. Poi però vedi lo strappo finale e ti rendi conto che ti prendevano in giro. Speriamo almeno che sia l’ultimo strappo».
In questo percorso di ritorno è stato più difficile ritrovare i meccanismi di guida o convincere le persone a puntare su di lei?
«Sinceramente non volevo convincere nessuno. È stata una sfida personale per vedere dove potevo, e posso arrivare con i miei limiti. Però capisco che un conto è correre e un altro girare».
Che cosa intende?
«Mi spiego meglio: ero un grande fan dei circuiti cittadini perché andavo sempre forte lì. Adesso sono 9 anni che non passo vicino a una barriera con una F1. So che dovrò affrontare tante cose come fosse la prima volta».
Paura?
«So di potercela fare altrimenti non sarei qua. Però un minimo di tensione c’è. Perciò è importante darsi obiettivi realistici».
Quando ho capito che non potevo più fare le cose come prima ho smesso di arrabbiarmi e studiato soluzioni
Quali? «La priorità mia e della Williams è avere un inizio di stagione dolce, niente passi più lunghi della gamba».
Alex Zanardi sostiene che i limiti sono relativi: «Prima non volavamo e poi abbiamo inventato l’aereo». Condivide?
«Sì, spesso i limiti partono dalla testa: il cervello è l’organo più sottovalutato. Nel mio percorso il grosso salto l’ho fatto quando ho capito che certe cose non potevo più farle come prima dell’incidente. Che non dovevo più incazzarmi, ma solo chiedermi: “Come ottengo lo stesso risultato in un altro modo?”».
Ha notato quanto affetto per lei, si considera un po’ speciale?
«No. Ora vado di moda perché sono una bella storia, altrimenti non si ricorderebbero di me. È vero che c’è anche gente che mi vuole bene perché forse ho lasciato dei bei ricordi in F1, ma parliamoci chiaro...»
Prego.
«Nessuno mi farà sconti per ciò che ho vissuto. L’interesse in F1 va e viene, io invece rimango e se non farò risultati quell’interesse sparirà».
Pronostico Mondiale:chi vince?
«Se mi avesse fatto questa domanda l’anno scorso e anche l’anno prima avrei detto sempre la Ferrari perché aveva la macchina per riuscirci. E anche ora la Ferrari può vincere, anzi deve vincere perché sono tanti anni che non lo fa».
E Leclerc come lo vede?
«Charles conosce bene il suo valore che è altissimo. Non mi sorprenderebbe se facesse vedere grandi cose e anche molto in fretta. Anzi mi stupirei del contrario».
Robert, lei è religioso?
«Sì, ma poco praticante».
Parla benissimo la nostra lingua, si sente un po’ italiano?
Ride. «No. Ma in Italia sono cresciuto come pilota e ragazzo. A 14 anni sono arrivato dalla Polonia ed ero ospite di una famiglia a Padenghe del Garda. Gente in gamba che mi ha sempre aiutato anche se non correvo per loro. Quelli probabilmente sono stati gli anni più belli della mia vita».