Corriere della Sera, 26 febbraio 2019
Intervista al Premio Oscar Mahershala Ali
LOS ANGELES «Sono felice che il nostro film contro ogni forma di razzismo Green Book, al di là di ogni controversa opinione, abbia vinto tre Oscar: miglior film, sceneggiatura originale e per me la statuetta come attore non protagonista. È una pellicola su una storia realmente accaduta, sui cambiamenti causati dall’amicizia che può nascere tra persone che hanno culture e valori diversi», dice Mahershala Ali, che impersona il pianista afroamericano Don Shirley nell’America più razzista degli anni Sessanta e nel Sud più conservatore. Viaggia per un tour di concerti su una automobile guidata dal rozzo italoamericano interpretato da Viggo Mortensen.
Nato in California nel 1974, primo musulmano a vincere la statuetta dell’Academy come miglior attore non protagonista per Moonlight, Mahershala è molto seguito anche per la saga di Hunger Games.
Lei parla di trasformazioni, che cosa ha cambiato in lei l’interpretazione del pianista Don Shirley?
«Cercando di catturare l’essenza della sua personalità e della sua creatività, ho vissuto una enorme esperienza. Ho studiato per mesi il mio personaggio e devo tutto a Viggo Mortensen perché è stato il motore trainante del progetto, sostenuto da Spielberg, che con la Amblin e la Dreamworks, ha affiancato la Universal. Ma devo ringraziare soprattutto mia nonna».
Perché?
«Mi ha insegnato a non arrendermi di fronte agli insuccessi. Se sbagli, mi ha sempre detto, devi sempre riprovare a raggiungere quello che vuoi. A lei dedico il mio secondo Oscar, oltre che a mia moglie e alla mia bambina. Ha compiuto due anni mentre giravo questo film così impegnativo. In tre mesi ho dovuto imparare a suonare il pianoforte».
Ha avuto altri mentori per «Green Book»?
Perseveranza
Ho imparato da mia nonna a non arrendermi mai di fronte a qualche insuccesso
«Solo ora con la mia statuetta in mano svelo il mio segreto: è stata fondamentale la visione del documentario Lost Bohemia di Josef Astor, per me un capolavoro, sugli artisti che hanno abitato in piccoli studi affittati sopra la Carnegie Hall, come Isadora Duncan, Paddy Chayefsky, persino Marlon Brando e il nostro Don Shirley, come si vede chiaramente in Green Book».
Lei ha interpretato anche serie televisive di grande successo come «House of Cards» e «True Detective». Come sceglie i copioni?
«Devono riuscire a darmi la certezza che con essi migliorerò come attore ed essere umano. Moonlight ha cambiato la mia vita e la mia carriera, ma ho vissuto con maggior responsabilità Green Book perché volevo esprimere tutta l’essenza di un artista autentico. È stato un viaggio faticoso, ma gratificante».
Con quale ruolo le piacerebbe conquistare l’Oscar da protagonista?
«Vorrei sempre interpretare film che mescolano con armonia diversità di etnie e culture. Il sogno? Impersonare Jack Johnson, sia in teatro che sullo schermo. Fu il primo pugile afroamericano, nato in una famiglia di ex schiavi, diventato campione dei pesi massimi, una leggenda, un simbolo non solo per me. Ci riuscirò perché, come mi ha insegnato l’amata nonna: i sogni si perseguono sino a che, una volta raggiunti, possano diventare realtà»