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 2019  febbraio 26 Martedì calendario

Biografia di Kenzo Takada

Kenzo Takada, nato a Himeji (prefettura di Hyogo, Giappone) il 27 febbraio 1939 (80 anni). Stilista. Progettista. Fondatore di Kenzo. «Creare moda è come mangiare: non bisognerebbe fissarsi sullo stesso menu» • «Quinto di sette figli, si appassiona di moda e stile fin da ragazzino, ma i genitori scelgono per lui un corso universitario in Letteratura inglese. Nel 1958, però, le passioni del giovane Kenzo hanno la meglio, e lui parte per Tokyo, dove viene ammesso alla scuola di fashion design Bunka Gakuen» (Giulia Sciola). «I vestiti sono sempre stati la mia passione, tanto che per inseguirla litigai con la famiglia. Per autofinanziarmi gli studi ho persino lavorato come imbianchino. Fu una disgrazia a rendere possibile il sogno che accarezzavo da tempo. Lo Stato mi espropriò della casa in cui vivevo, perché era situata in una zona dove doveva sorgere il villaggio olimpico. Con i soldi che ricevetti partii per la Francia. Un lungo viaggio in nave, durante il quale attraversai Saigon, Bombay, prendendo appunti per capire le altre civiltà. Quel bagaglio di sensazioni, l’ho poi riversato nel mio lavoro». «Sbarcò a Marsiglia dal Giappone il primo gennaio 1965, a bordo di un transatlantico. Roba d’altri tempi. “Venni subito a Parigi. E la trovai grigia, triste. Non parlavo francese, né inglese”» (Leonardo Martinelli). «“La lingua è stata un grande handicap. Al punto che per affinarla pensai addirittura di lavorare come shampista per cani”, confida ridendo. L’inizio fu durissimo» (Antonella Amapane). «Per dieci mesi dormii in una camera d’albergo, senza bagno». «In tasca aveva pochi soldi e un diploma della grande scuola di moda, la Bunka di Tokio, ma era un ottimo disegnatore, e i suoi abiti, che mescolano dettagli orientali con linee di gusto europeo, fanno subito breccia. I primi bozzetti, li vende a Féraud, la rivista Elle dedica spazio ai suoi schizzi, e intanto lui, con un gruppo di amici fidati, crea e mette in produzione abiti che vanno a ruba. L’anno di svolta è il 1970. Kenzo organizza la sua prima sfilata per la stampa e per lui, figlio di un albergatore di Himeji, un paese dell’area più industrializzata del Giappone, inizia il vero successo» (Laura Asnaghi). «Nel 1970, dopo collaborazioni con Bon Magique e Jardin des Modes, apre il suo primo negozio nella Ville Lumière, la boutique Jungle Jap in Galerie Vivienne» (Sciola). «Un grosso sorriso dietro a enormi Ray-Ban da vista. E colore, tanto colore, a volte anche acido. Poi stampe, floreali e animalier, spesso mixate insieme. L’entusiasmo era esplosivo sulle passerelle parigine della sua Jungle Jap, il marchio dei primi anni. […] Era famoso per il suo sense of humor: sulle passerelle le modelle ballavano e interagivano con il pubblico» (Tommaso Basilio). «Nella Francia di quegli anni, Kenzo è il simbolo del rinnovamento, della trasgressione. Ha molti fan che adorano i suoi abiti, anche quelli improponibili e più azzardati delle sue prime collezioni. Nel ’71, Diana Vreeland, la sacerdotessa della moda americana, lo incontra a Parigi. Lo vuole conoscere perché trova geniali le sue creazioni. La moda di Kenzo si impone come un fenomeno assolutamente nuovo, e dopo la "consacrazione" della Vreeland le sue bluse in stile orientale, i suoi pantaloni ampi, i suoi cappellacci a tinte forti si conquistano uno spazio nel mondo del prêt-à-porter. Con determinazione persegue il suo obiettivo: diventare un grande stilista, imporre il suo stile a Parigi, che allora era ancora la capitale incontrastata dell’haute couture. Ma a lui non interessano gli abiti da gran sera: preferisce creare abiti "che si vedano nella strade, che vestano molta gente". È attento alla politica dei prezzi, privilegia i buoni tessuti, e le sue collezioni, stagione dopo stagione, "invadono" il mercato europeo, quello americano e in seguito quello orientale» (Asnaghi). «Sono soprattutto le sfilate (come quelle fatte dentro un circo, con Kenzo che entrava alla fine sopra un elefante!) e il modo di comunicazione controcorrente a farne uno dei protagonisti più originali del mondo della moda. Con il marchio Kenzo lancia decine di collezioni donna, e dal 1983 anche uomo» (Mattia Tarantini). «Kenzo è […] uno dei primi interpreti del “flower power”, con stampe jungle e richiami alla simbologia della natura. Abiti e maglieria rivoluzionano il gusto degli anni ’70 e ’80: forme, tessuti, materiali e disegni tradizionali del Giappone si mescolano senza contrasti allo stile europeo e alle influenze della cultura street di metropoli come New York. […] Nel 1980 il marchio diventa una società presieduta da François Baufumé. Dopo poco più di dieci anni, nel 1993, viene rilevata da Lvmh» (Sciola). «Poi, come molti altri brand, la svolta con i profumi, di grande successo commerciale. Uno su tutti, Flower by Kenzo, del 2000» (Tarantini). «Nel 1999, dopo le sfilate di Parigi, Takada annuncia il suo ritiro e viene sostituito dallo stilista scandinavo Roy Krejberg. Nel maggio 2002, Kenzo torna a sorpresa con una linea di prêt-à-porter, accessori e biancheria per la casa battezzata Yume, dal giapponese “sogno”. L’anno successivo al timone stilistico del womenswear di Kenzo approda l’italiano Antonio Marras, inaugurando una nuova fase di energia creativa. Lo stilista sardo concepisce le sfilate come rappresentazioni, non lontano dalle ambientazioni raffinate tipiche della cultura giapponese, con reminiscenze come fiori di pesco, bambole kokeshi e simboli del folclore isolano. Il successo delle collezioni femminili è tale da portare nelle mani di Marras anche le linee uomo, bambino, casa e fragranze. Nel 2011 al designer italiano subentrano Humberto Leon e Carol Lim, scelti come nuovi direttori artistici. […] Oggi, orientato verso il design e l’arredamento, Kenzo Takada ha immaginato per Roche Bobois un’eccezionale collezione di tessuti e ceramiche. Ci si ritrovano i codici grafici e culturali che lo caratterizzano: la mescolanza delle origini, la padronanza dei colori, la delicatezza dei motivi. […] Nel 2016 Parigi ha conferito a Kenzo la Légion d’honneur, applaudendolo per il suo contributo all’industria della moda e del design» (Sciola). «Dopo un periodo di riposo, Takada si è rimesso in moto. Home collection, fragranze, accessori e una produzione artistica. Il suo stile ha fatto storia e non è mai passato di moda, tanto che i suoi successori Lim e Leon lo hanno recentemente rielaborato nella capsule Kenzo per H&M. Al centro, il mix di stampe floreali, etniche e colorate degli esordi» (Basilio) • Omosessuale, considera il grande amore della sua vita Xavier de Castella, studioso di architettura e di arte giapponese presentatogli da Karl Lagerfeld a una festa di compleanno di Paloma Picasso: tra i due s’instaurò in breve un forte sodalizio sentimentale e professionale, improvvisamente troncato nel 1990 dalla morte dell’uomo, a soli 38 anni. «La sua morte prematura è una ferita che non si è mai rimarginata. Penso molto a lui. Nella mia vita, ho fatto molte sciocchezze: se ci fosse stato ancora lui, ne avrei fatte di meno. Ho fatto troppe feste, ho frequentato i casinò… Oggi non bevo più, non mi drogo più, non gioco più. Vorrei innamorarmi ancora una volta» • In casa ha uno studio dove dipinge. «Un pianoforte a coda è la testimonianza dell’ultima passione: “È un’arte che voglio conoscere meglio. Un maestro viene a casa per darmi lezioni quando ho un po’ di tempo”» (Basilio) • «Kenzo Takada fu il primo ambasciatore in Occidente della moda venuta dal Sol Levante. Cavalcando l’onda della contro-cultura degli anni ’70, il giovane stilista giapponese creò collezioni di rottura, proclamando che la moda poteva essere creativa e audace e al tempo stesso indirizzarsi a un largo pubblico» (Maria Luisa Tagariello) • «Tra i contemporanei, penso che Pierpaolo Piccioli [attuale direttore creativo di Valentino – ndr] stia facendo un buon lavoro. E mi piace sempre Azzedine Alaïa» • «A Parigi Kenzo deve molto: è la città in cui ha potuto realizzare il suo sogno e diventare "il più francese tra i giapponesi" approdati in Europa. Ma Kenzo non ha mai dimenticato il suo Paese. […] "La mia testa è a Parigi, ma il mio cuore è in Giappone"» (Asnaghi). «Per quanto riguarda la mia evoluzione professionale, mi fu d’aiuto lo stile e la cultura degli hippy, che condividevo pienamente. Non politicamente, ma intesa come libertà assoluta. Un punto fondamentale, […] base delle mie creazioni colorate, a fiori, con le quali spero di riuscire a comunicare la gioia di vivere senza condizionamenti». «La moda è cambiata. Il mio rammarico è che si sia perso un certo atteggiamento naïf e leggero. Oggi gli show sono un grosso investimento: credo riflettano il momento storico».