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 2019  febbraio 20 Mercoledì calendario

Il Caravaggio di Manara

Caravaggio è in fuga da Roma. Ferito e braccato dalle guardie papali a causa dell’uccisione di Ranuccio Tommasoni, lo ritroviamo sotto le cascate di Terni (riprodotte con sensibilità pittoresca), accolto e soccorso da una compagnia di girovaghi circensi. È così che inizia” Caravaggio: La Grazia”, secondo e conclusivo volume della biografia a fumetti che Milo Manara, maestro internazionale dell’illustrazione e della narrativa disegnata, ha voluto dedicare alla figura di Michelangelo Merisi.
La prima parte, intitolata” Caravaggio; La tavolozza e la spada”, era stata pubblicata quattro anni fa, a testimonianza dell’impegnativo lavoro di documentazione e rifinitura portato avanti da Manara. Nel dicembre del 2017, il pubblico aveva potuto scoprire in anteprima alcune tavole esposte in mostra al Museo dell’Archivio storico del Banco di Napoli. E adesso” Caravaggio: La Grazia” (64 pagine a colori, cartonato, 16,90 euro) giunge finalmente in libreria, per i tipi di Panini 9L, a completare un percorso narrativo e visivo che il cartoonist veneto considera come un’allegoria della sua personale poetica, delle proprie tensioni, di quella immaginazione capace di confrontarsi e amalgamarsi, nell’arco di mezzo secolo di attività, con quella di figure del calibro di Enzo Biagi, Federico Fellini, Hugo Pratt, Vincenzo Cerami, Alejandro Jodorowsky.
In” Caravaggio: La Grazia” seguiamo le tormentate peregrinazioni di un Michelangelo Merisi che dopo essere giunto a Napoli – accolto dalla contessa Colonna, che intende intercedere per lui presso il Pontefice – e aver sovvertito, con dipinti come” Salomè con la testa del Battista”,” La flagellazione di Cristo” e” Le Sette opere di Misericordia”, le prospettive della pittura italiana, accetta di recarsi a Malta. Qui nuove disavventure lo costringono prima al carcere e poi a un’altra fuga che dopo aver toccato la Sicilia e ancora Napoli si concluderà tragicamente su una spiaggia della bassa Toscana. Manara tuttavia non intende restare didascalico: attraverso il racconto si insinua negli interstizi della storia rimasti oscuri, aggiungendo elementi di fantasia, tra i quali spicca un personaggio femminile, Ipazia, simbolo al contempo di bellezza, candore e forza, che addirittura, con la sua sensualità, finisce con l’ispirare a Caravaggio” L’estasi di Maria Maddalena”.
Milo Manara, l’inizio di “Caravaggio: La Grazia” ha un che di felliniano, con l’artista che ritrova la sua vena creativa tra acrobati e giocolieri.
"Il pittore transitò nei territori appartenenti alla famiglia dei Colonna prima di trovare rifugio sotto la loro ala protettrice a Napoli. Per ragioni spettacolari ho immaginato che fosse stato accudito da un gruppo circense accampato vicino alle cascate di Tivoli. È vero, l’ispirazione dettata dal Fellini di” La strada” e” I clowns” è evidente”.
Come si è documentato per realizzare le tavole ambientate nella Napoli barocca?
"Sono stato di frequente a Napoli, in cerca di materiale d’epoca. Il mio agente, Claudio Curcio, che è anche il patron del Napoli Comicon, mi ha accompagnato tra le librerie antiquarie di Port’Alba. Qui ho scovato un libro antico e voluminoso, pieno di splendide incisioni raffiguranti la città”.
Ipazia, la giovane che accompagna le peregrinazioni di Caravaggio, salvandolo in più occasioni, è forse il personaggio che meglio sintetizza il senso che le donne rappresentano all’interno del suo corpus narrativo. Le figure femminili che lei disegna sono famose, quasi proverbiali, ma forse sono considerate con troppa superficialità. Ci si dimentica quasi sempre del loro ruolo di muse salvifiche calate nella storia.
"Nell’introduzione all’edizione deluxe del volume, che si aggiungerà a quella appena uscita, quasi mi scuso col pittore per avergli affiancato questa donna di fantasia come personificazione di quella Grazia che lui persegue in ogni senso. Sì, esplicita l’idea di donna che pervade la mia opera, come unica possibilità di redenzione del genere umano. Il principe Myskin, ne” L’Idiota” di Dostoevskij, afferma che la bellezza salverà il mondo. Per me la donna ha il valore stilnovistico di una Beatrice di Dante, ma anche la concreta ineffabilità della Laura di Petrarca e la gioiosa sensualità di alcune protagoniste delle novelle di Boccaccio”.
Anche il nome Ipazia non sembra scelto a caso...
"Fa rima con “grazia”, ma rimanda anche alla donna come agente di intelligenza e grandezza d’animo. Così come accaduto alla filosofa Ipazia, è l’elemento che la società maschile e patriarcale tende a espellere, commettendo l’errore più grave in assoluto”.
Come ha proceduto alla colorazione della storia?
"Sono stato aiutato da mia figlia Simona, grazie alla quale ho creato una tavolozza digitale che clonasse i colori caravaggeschi. Ne sono derivate tonalità cupe volte a riprodurre le ombre di un secolo, il Seicento, pervaso da inquietudini moderne”.