la Repubblica, 25 febbraio 2019
Arriva in libreria il saggio sulla grande truffa farmaceutica Theranos del premio Pulitzer Carreyrou
C’era, nella coreografia di simboli allestita intorno a Theranos, tutta una serie di dettagli sbagliati. La giovane fondatrice che si credeva la reincarnazione di Steve Jobs con tanto di eterno collo alto nero. Il laboratorio modestamente ribattezzato Normandia, in onore di un altro luogo che aveva cambiato il corso della storia. Il kit per esaminare il sangue a partire da una sola goccia, perché questo l’azienda prometteva, definito senza arrossire «la cosa più importante mai costruita dall’umanità». Ma a quei dettagli né il consiglio d’amministrazione, né gli investitori, né grossa parte del pubblico avevano voluto prestare attenzione. Perché rovinare una così bella storia (la diciannovenne bionda di ottima famiglia che da piccola aveva il terrore degli aghi e oggi voleva risparmiare quella «tortura medievale» al resto del mondo) con un prosaico fact-checking? Serviva un giornalista. Abbastanza incosciente da prendere il largo in un oceano mediatico di credulità, essendo stata Elizabeth Holmes inclusa tra le cento persone più influenti di Time, quindi sulla copertina di Forbes e Fortune, intervistata da tv dopo tv come prova ontologica che anche le donne potevano lanciare startup di successo. Quel giornalista si chiama John Carreyrou, ha vinto il Pulitzer per aver raccontato in solitaria sul Wall Street Journal come la scintillante facciata della ditta che doveva rivoluzionare il mercato multimiliardario delle analisi del sangue fosse in realtà di cartapesta ed è l’autore di Una sola goccia di sangue. Segreti e bugie nella Silicon Valley (Mondadori), il precipitato di tre anni di inchiesta su una realtà che straccia la fantasia al punto che diventerà un film.
Ma di cosa parliamo, esattamente? Di una matricola di Stanford che nel 2003, forte di un-anno-uno di ingegneria chimica, lascia l’università e si mette in testa di costruire un marchingegno delle dimensioni di una carta di credito un po’ cicciotta su cui versare una goccia di sangue da infilare in un lettore in grado di comunicare i risultati ai medici. Fantastico! Una compagna di liceo è la figlia di Tim Draper, influente venture capitalist. Il primo anno raccolgono sette milioni di dollari di finanziamenti per arrivare presto a una capitalizzazione di nove miliardi per un’azienda con 800 dipendenti. D’altronde il consiglio di amministrazione sembra una reunion di avventori della Casa Bianca: c’è l’ex segretario di stato George Shultz, il futuro segretario alla difesa di Trump Jim Mattis («Ha l’etica personale più matura e ben affilata che abbia mai incontrato» disse della Holmes) e l’immarcescibile Henry Kissinger. Non un singolo biochimico che potesse valutare la credibilità del progetto, ma che importa.
Quando il capo del laboratorio si lamenta per aver scoperto che in una dimostrazione pubblica avevano falsificato un risultato, Holmes lo licenzia in tronco. Quando il nipote di Shultz, assunto in quanto nipote, avverte il nonno che c’è qualcosa che non quadra il vecchio si volta dall’altra parte.
«Se i fatti non vanno d’accordo con la teoria, tanto peggio per loro» citando il giovane Kant.
Forte dei suoi convincenti occhioni blu e del suo dream team di sponsor la Holmes sigla accordi con la catena di farmacie Walgreens, con i supermercati Safeway e con tanti altri. Eseguirà oltre un milione di analisi, il cui responso però verrà da macchine tradizionali. È tutta una finta, un Everest di bugie.
«Ecco che succede quando lavori per cambiare le cose: prima dicono che sei pazza, poi ti combattono e alla fine cambi il mondo» ripete, come un disco rotto, quando la terra comincia a mancarle sotto ai piedi. La Sec, la Consob americana, la accusa di frode.
Pagherà una multa da mezzo milione di dollari e sarà bandita per un decennio da ogni ruolo in aziende quotate. La wonder girl della Valle, la «Marie Curie dei giorni nostri» (parole sue), patteggia la causa civile, nell’attesa del processo penale che potrebbe spedirla in galera. Si era inventata tutto, compreso che i soldati americani in Afghanistan avevano con successo testato l’apparecchio. Come pensava di farla franca? È un personaggio archetipico, concorrenziale con il Jean-Claude Romand di Carrère che mente fino alle più estreme conseguenze. Ma pessimi sono anche tutti quelli che lei recluta come figuranti nello spettacolo della sua mitomania. Si salva solo Carreyrou. E il giornalismo, dal momento che con mossa disperata la Holmes chiama Rupert Murdoch, suo grande investitore nonché editore del Wsj perché richiami all’ordine il cronista scatenato. E lo Squalo, che pure ci aveva scommesso 125 milioni, declina: «Non metto bocca sul quotidiano».