Corriere della Sera, 25 febbraio 2019
La seconda casa di 007
Aston Martin produrrà un Suv e si chiamerà DBX. Abbiamo visitato in anteprima la fabbrica in cui verrà costruito, la seconda della storia Aston Martin, la prima fuori dall’Inghilterra. Con un embargo degno di 007 partendo dalla sede storica di Aston Martin, a Gaydon, al volante della DB11, col celebre V12, ci siamo diretti in una base aerea militare nel Galles.
St. Athan in The Vale of Glamoran è ancora una base militare «Property of the Ministry of Defense», come campeggia sui cartelli all’ingresso, e quindi della Corona.
Ci sono ancora 7 chilometri di piste e hangar dove per lo più oggi vengono smantellati aerei militari e di linea in disuso, e una sorveglianza da film di spionaggio. D’altra parte stiamo parlando delle auto preferite da James Bond... Tre di questi hangar sono stati scelti per la produzione del DBX, e come annunciato durante la visita dal CEO di Aston, Andy Palmer, anche come «Home of Electrification, con la Rapide E in arrivo nel 2020 e la produzione del rinato brand Lagonda».
La decisione di Aston Martin di fabbricare un super Suv risale a inizio 2016 e va nell’ottica di aumentare le vendite, che in 102 anni hanno toccato le 70 mila unità. Era il periodo del referendum sulla Brexit e nella sede Aston si decise di attenderne l’esito prima di stabilire dove produrlo. «Si aprirono un ventaglio di possibilità – racconta Palmer —, anche la Germania, da cui arrivano i motori V8 delle Aston attuali».
I lavori sono quasi finiti. Visitiamo gli uffici, l’area dedicata allo staff e il terzo lotto, dedicato all’assemblaggio, coperto da teli per nascondere i primi muletti di prova, di cui possiamo vedere la targhetta che recita «hand built in Wales». Mentre la DB11 ha sulla targhetta la scritta: «Hand built in England».
Guidando verso St. Athan attraversiamo i villaggi gallesi e constatiamo la loro evoluzione. Da prevalentemente minerari, erano diventati sotto l’era Tatcher piccoli e operosi centri industriali dove multinazionali come la Sony avevano aperto i loro siti produttivi, salvo poi spostarli in regioni più convenienti sotto la spinta della globalizzazione. Così quest’area è ridiventata una delle più povere del Paese.
Alla visita partecipa anche il ministro dell’Economia gallese, Ken Skates, che si dice «orgoglioso di come Aston Martin abbia scelto St. Anthan» e tiene a ricordare come «il Galles sia un’importante realtà dell’industria automobilistica che occupa 18mila persone in 150 aziende» e come quest’ultima contribuisca all’economia gallese «per 3 miliardi di sterline l’anno» (ci sono anche gli impianti di assemblaggio dei motori di Toyota e Ford). L’avvio della produzione del DBX è dovuto, oltre che all’oggettiva funzionalità degli hangar, con i loro soffitti altissimi, anche a un «contributo statale di 5,8 milioni di sterline, diventati poi 18,8, su un investimento totale di circa 50 milioni», spiega Palmer.
«Ma il vincolo – aggiunge Ken Skates – era di assumere solo manodopera locale: 3.000 candidati per 750 posti, di cui 300 già reclutati e in addestramento a Gaydon».
Il ministro gallese ricorda che «dal primo Gennaio 2019 sono stati aboliti anche i toll bridge», i pedaggi che sui tir avevano costi veramente elevati, nella speranza di attirare sul territorio gallese nuove forze produttive.
Per raggiungere St. Athan dall’Inghilterra si deve attraversare tutto il Galles: al volante della «nostra» DB11 ci impieghiamo sette ore, per colpa di un enorme cantiere. Stanno costruendo un’autostrada che renderà più diretto (e breve) il collegamento. Sul cartello all’ingresso all’area del cantiere campeggia una scritta che ricorda che l’opera è finanziata da «Fondi comuni europei per la competitività e lo sviluppo di zone svantaggiate».
Altro che Brexit: senza questa megaopera pubblica St. Athan non sarebbe stato scelto dalla Aston Martin e la targhetta del DBX avrebbe potuto recitare «Hand built in Germany».